Né l’essenza del sistema né lo schema di reazione contro l’opposizione sono cambiati dall’Unione sovietica alla Russia di Putin, la cui “somiglianza ideologica”, “l’ipocrisia di base” e “continuità dall’una all’altra” assicureranno il collasso dell’attuale governo russo come già avvenuto con l’Urss. È quanto scriveva dal carcere Alexei Navalny, morto lo scorso 16 febbraio in circostanze ancora da chiarire in una prigione nell’Artico, all’ex dissidente sovietico Natan Sharansky, come riportato in uno scambio di missive pubblicato oggi in esclusiva dal portale statunitense The Free Press.
«Ho appena letto il tuo libro “Fear No Evil” mentre ero detenuto in isolamento. E ora scrivo dalla cella di punizione — ormai saranno 128 giorni in totale (che ho passato qui, ndr)», scriveva Navalny il 3 aprile scorso a Sharansky. «Ridevo mentre leggevo il passaggio in cui hai scritto: “Sono stato punito con 15 giorni in cella di punizione e poi, come delinquente che ha infranto le regole della prigione, mi hanno spedito in isolamento per 6 mesi”. Mi ha divertito il fatto che né l’essenza del sistema né lo schema di reazione siano cambiati».
«Il tuo libro dà speranza perché la somiglianza tra i due sistemi – l’Unione Sovietica e la Russia di Putin – la loro somiglianza ideologica, l’ipocrisia che costituisce la base stessa della loro essenza e la continuità dall’una all’altra – tutto ciò garantisce un eguale e inevitabile collasso. Come quello a cui abbiamo assistito», proseguiva Navalny riferendosi al crollo dell’Urss e alle similitudini tra i metodi del regime pre-1989 e l’attuale governo russo.
Un paragone che allettava l’ex dissidente sovietico Natan Sharansky: «Prima Volodya Kara-Murza (un altro oppositore di Putin che sta scontando 25 anni di carcere, ndr) e ora tu, entrambi mi avete scritto su come questo libro “funzioni” ancora in una prigione russa di oggi», si legge nella risposta inviata dal politico israeliano a Navalny lo stesso 3 aprile. «Ho provato una sorta di shock nel ricevere la tua lettera. Il solo pensiero che provenga direttamente da una cella di punizione, dove hai già trascorso 128 giorni, mi emoziona quanto entusiasmerebbe un vecchio che riceve una lettera dalla sua “alma mater”, l’università dove ha trascorso molti anni della sua giovinezza», proseguiva Sharansky riferendosi alla sezione più dura del carcere dove ha passato diversi anni perché si opponeva al regime sovietico.
«Caro Nathan», rispondeva poi Navalny in data 11 aprile 2023. «Nella tua alma mater tutto è come prima. Le tradizioni sono onorate. Venerdì sera mi hanno fatto uscire dalla cella di punizione e oggi, che è lunedì, mi hanno concesso altri 15 giorni».
«A giudicare da tutto il tempo da te trascorso in cella di punizione, presto batterai tutti i miei record», ribatteva ancora Sharansky il 17 aprile da Gerusalemme. «Spero che tu non ci riesca».
L’ex dissidente sovietico fu arrestato nel 1977 per una serie di accuse, tra cui alto tradimento. Condannato nel 1978 a 13 anni di carcere, fu rilasciato soltanto nel 1986. Il suo libro “Fear No Evil”, uscito qualche anno dopo, divenne molto famoso per aver svelato le condizioni dei prigionieri politici in Unione sovietica tra gli anni Settanta e Ottanta.
Proprio come molti anni più tardi Navalny, anche Sharansky trascorse anni in isolamento, nei cosiddetti reparti Pkt, in cui i detenuti non possono mai uscire dalla propria cella. Passò anche mesi nelle celle di punizione, il famoso reparto Shizo, dove i prigionieri non solo sono tenuti in isolamento, ma non possono ricevere né visite né telefonate e il loro accesso all’acqua calda è limitato, è ammesso un solo libro e hanno solo 35 minuti al giorno per poter scrivere.
Secondo il Servizio penitenziario russo (Fsin), Alexei Navalny è rimasto vittima di un malessere improvviso “dopo una passeggiata” nella Colonia penale di massima sicurezza n. 3, la prigione del distretto autonomo di Yamalo-Nenetsia, situato nell’Artico russo a 2.000 chilometri da Mosca, dove stava scontando una pena di 19 anni di reclusione.
L’uomo, stando alla versione ufficiale delle autorità carcerarie, sarebbe stato soccorso immediatamente dagli operatori sanitari della struttura e poi da quelli giunti sul posto in ambulanza, arrivata appena 7 minuti dopo la segnalazione, ma non ci sarebbe stato nulla da fare. Il team legale della famiglia dubita però della ricostruzione offerta dalle autorità russe e sospetta un nuovo tentativo di avvelenamento, stavolta andato a buon fine, dopo quello del 2021.
Navalny era stato incarcerato subito dopo il suo ritorno in Russia all’inizio del 2021, dopo un grave avvelenamento, di cui aveva accusato proprio il Cremlino. In un videomessaggio diffuso oggi sui social, la moglie Yulia Navalnaya ha accusato Vladimir Putin di aver “ucciso” il marito.
L’indagine comunque sarebbe ancora “in corso”, secondo quanto riferito oggi alla stampa dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, anche se non ha permesso di giungere ad alcuna conclusione “per il momento”.