Farah è una donna iraniana, arrivata in Italia pochi giorni fa. A breve dovrà tornare in Iran, ma non ha paura. «Vorrei andare a manifestare anch’io, ma non posso farlo perché devo accudire mio padre che è anziano e ha bisogno di essere aiutato». Il suo è un nome di fantasia, per ragioni di sicurezza ha deciso di rimanere in anonimato. Parla in inglese con il suo accento persiano, scandisce le parole con decisione, trasmettendo la voglia di raccontare che cosa sta succedendo veramente nel suo Paese: «Io sono figlia della rivoluzione», si riferisce a quella khomeinista tra il 1978 e il 1979, che portò alla nascita della repubblica islamica e alla deposizione dello Scià di Persia.
«Con il governo (del presidente conservatore Ebrahim) Raisi la situazione è nettamente peggiorata», spiega a TPI. «Le donne non hanno più nessuna libertà, la loro stessa vita non ha valore. Le più ricche sono anche più libere, perché c’è tanta corruzione. Per cui se vieni fermata dalla polizia puoi pagarla per essere lasciata in pace. Se vivi a sud di Teheran e sei povera, invece, sei vulnerabile». Racconta comunque che questa rivolta – incominciata dopo la morte di Mahsa Amini – è il prodotto di un dissenso diffuso che non si nutre di mere ragioni economiche, ma del desiderio di lottare per la propria libertà e per la propria vita.
L’Iran vive da anni una forte insofferenza dovuta all’effetto combinato delle sanzioni e della corruzione delle autorità politiche. Basti pensare che, nel settembre 2011, l’allora direttore della Banca centrale iraniana Mahmoud Reza Khavari è stato coinvolto in uno scandalo di frode per 943 milioni di dollari e successivamente è fuggito in Canada. Il capitale proveniente dalla vendita del greggio non viene utilizzato per il sostentamento del Paese ma viene acquisito dai membri del ministero del Petrolio e da altre personalità politiche. Soltanto tre anni fa, nel novembre del 2019, ci fu un’altra ondata di proteste dovuta all’aumento del prezzo del carburante, ma questa volta la situazione pare diversa. «Le persone hanno capito che al posto di Mahsa poteva esserci la propria figlia o sorella», ricorda Farah.
Nel Paese la situazione peggiora di ora in ora. Durante gli scontri degli scorsi giorni la polizia ha sparato pallottole di gomma per disperdere la folla. La ragione è probabilmente legata all’intervento del presidente Raisi all’Assemblea generale dell’Onu a New York, dove ha rassicurato la comunità internazionale di essere aperto al dialogo e di non volersi dotare dell’arma nucleare. Adesso però il suo viaggio si è concluso e la polizia sta sparando proiettili veri ad altezza uomo, uccidendo i manifestanti.
Tutti i passeggeri dei voli nazionali e internazionali che sono atterrati a Teheran negli ultimi giorni sono rimasti bloccati in aeroporto per circa dieci ore. I cellulari vengono sequestrati e controllati per poi essere restituiti dopo due settimane se, secondo le forze di sicurezza, non sussistono elementi di sospetto. Il regime ha bloccato l’accesso a Internet per arginare la diffusione di immagini e video tramite i social media. «Io non riesco a parlare con la mia famiglia in questo momento», rivela Farah a TPI. «Ci sono persone che riescono a comunicare usando particolari reti Vpn che il governo non ha ancora scoperto. I social media non sono facilmente accessibili. Non funziona neanche Telegram. Instagram a volte funziona ma non è sicuro, perché è proprio lì che la polizia aggira le password degli utenti e controlla le conversazioni». La scorsa settimana, il direttore della polizia di Teheran aveva postato un tweet in cui scriveva che il governo Raisi sarebbe potuto cadere da un momento all’altro. Il tweet è stato eliminato poco dopo la sua pubblicazione.
A partire da martedì 27 settembre, alcuni membri del governo hanno trasferito le loro famiglie e il proprio patrimonio in Uzbekistan e Venezuela. Se ci si collega a Flight24, si può notare che solamente da alcuni giorni ci sono voli diretti privati in partenza dall’aeroporto iraniano Payam verso Paesi per cui solitamente non vi sono tratte disponibili.
Intanto le manifestazioni non sono rimaste circoscritte alla repubblica islamica, ma si stanno diffondendo anche in tutto il mondo occidentale. A San Francisco, i manifestanti gridano lo slogan simbolo delle rivolte “Donna, Vita, Libertà” sul Golden Gate Bridge. A Berlino un gruppo di dimostranti è riuscito a occupare l’ambasciata iraniana, arrampicandosi sulle inferriate e tagliando il filo spinato con forbici da giardino. A Londra ci sono stati diversi scontri tra manifestanti e forze di polizia. Anche in questo caso le persone che protestavano sono riuscite ad occupare l’ambasciata iraniana nella capitale britannica e un giovane è salito sul tetto dell’edificio per esibire la bandiera del regno di Persia. Intanto a Teheran, il Vevak – il ministero a cui rispondono i servizi di intelligence – sta reclutando persone nelle capitali occidentali per partecipare alle proteste, al fine di raccogliere informazioni sui manifestanti, intimidirli e non permettergli di tornare in Iran.
Anche in Italia, a Milano e a Roma, ci sono state diverse manifestazioni. «C’erano molti ragazzi iraniani, alcuni arrivati da poco in Italia per studiare all’università», ci racconta Nahid, che a differenza di Farah vive in Italia da molti anni e ha partecipato attivamente alle dimostrazioni che ci sono state nel nostro Paese. «Li vedo così forti e determinati, senza essere legati a un particolare pensiero politico. Gli attivisti spesso cercano di modificare le leggi passo dopo passo, a loro invece non basta. Vogliono un cambiamento radicale». Alcune ore prima di parlarci, una persona a lei cara è stata arrestata dalle forze di sicurezza iraniane, per cui anche lei ha deciso di rimanere in anonimato.
Le chiediamo chi sono i protagonisti delle proteste nel suo Paese e se ci sono dei gruppi organizzati di attivisti dietro questa profonda rivolta del popolo iraniano: «Tutto è iniziato quando sui social media è diventata virale una foto di Mahsa Amini in coma su un letto dell’ospedale di Kasra, a Teheran. Successivamente, la gente è scesa in piazza prima a Saqez, nel Kurdistan iraniano e poi nel resto dell’Iran. Stanno manifestando persone di tutte le età: studenti universitari e adulti che vogliono un futuro per i propri figli. Mahsa ha risvegliato un forte sentimento di dissenso nel mio popolo», ricorda.
E poi aggiunge: «In Iran ci sono molti attivisti che rispetto moltissimo e che ho sempre ammirato per il loro coraggio. Entrano ed escono dal carcere come se fossero i peggiori criminali. Ma questa volta non hanno un ruolo decisivo nelle proteste, la gente scende in piazza perché lo sente e anche loro sono rimasti sorpresi dal nostro popolo. Adesso si protesta per la libertà di vivere. L’elemento interessante è che i giornalisti iraniani stanno usando parole spinose per descrivere quello che sta accadendo, mettendo in discussione un’istituzione sacra come il velo delle donne, che rappresenta una bandiera della repubblica islamica. La forza di queste proteste è incredibile».
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