Alla fine anche l’ultimo reattore è stato “spento”. La situazione nella centrale nucleare di Zaporizhzhia, nel sud-est dell’Ucraina, era diventata talmente pericolosa da indurre l’agenzia ucraina Energoatom a interrompere le operazioni dell’unico dei sei reattori dell’impianto ancora in funzione portandolo, con il consenso dell’Aiea, a una più sicura situazione di arresto “a freddo”. Ma i continui bombardamenti intorno alla centrale, da sei mesi sotto il controllo dell’esercito russo, potrebbero portare – stando agli esperti – a un disastro nucleare in stile Fukushima.
Da mesi, Kiev accusa Mosca di usare la centrale per immagazzinare armi e lanciare attacchi contro le linee ucraine, sfruttando la riluttanza degli avversari a rispondere al fuoco per evitare di colpire l’impianto. Il Cremlino, a sua volta, sostiene che le forze armate ucraine prendano deliberatamente di mira il sito, con l’obiettivo di addossare la colpa di un eventuale incidente ai soldati russi. Al momento nessuno è in grado di verificare quale dei contendenti abbia sparato sulla centrale, ma la vicina cittadina di Enerhodar, in mano ai russi, è sottoposta a frequenti attacchi di artiglieria. Fatto sta che più di una volta l’area presso lo stabilimento è stata coinvolta negli scontri.
Il 26 aprile, l’impianto è stato sorvolato a bassa quota da due missili guidati russi che poi hanno colpito la città di Zaporizhzhia, a meno di 65 chilometri a nord-est del sito. Il 19 luglio, alcuni droni ucraini hanno attaccato un accampamento russo nella zona di esclusione della centrale, colpendo un lanciarazzi BM-21 (Grad) e provocando un incendio che non ha danneggiato le infrastrutture dell’impianto. A inizio agosto invece, vicino a un quadro elettrico è stata segnalata una serie di esplosioni (la cui origine non è ancora stata chiarita) che ha causato il provvisorio arresto di uno dei reattori in funzione. Inoltre, alcuni razzi sono stati esplosi a una distanza compresa tra i 10 e i 20 metri da un deposito di combustibile nucleare esausto. Intanto, a metà dello scorso mese, le cittadine ucraine di Nikopol e Marhanets, proprio di fronte alla centrale al di là del fiume Dnipro, sono state bombardate per giorni dall’artiglieria russa.
A fine agosto, citando fonti ucraine, l’Aiea ha poi rivelato che i bombardamenti contro l’impianto hanno danneggiato un laboratorio e alcune strutture interne al complesso principale dello stabilimento, provocando un’interruzione temporanea dell’afflusso di energia elettrica da una vicina centrale termica. Infine, tra il 25 e il 26 agosto, il danneggiamento dell’ultima linea elettrica collegata all’impianto aveva provocato un blackout che ha portato, per la prima volta nella storia, a scollegare tutti e sei i reattori dalla rete nazionale ucraina, un guasto poi riparato il 27 agosto. Il 29 agosto quindi due colpi di mortaio hanno colpito il tetto di un magazzino di rifiuti nucleari, rischiando di provocare una fuoriuscita di materiale radioattivo. Insomma, per citare un vecchio film, fin qui tutto bene. Ma i rischi sono dietro l’angolo.
A prescindere dal rimpallo delle responsabilità, la Zaporizhzhia NPP resta un obiettivo molto ambito da entrambi i contendenti. Con una capacità di 5.700 megawatt e sei reattori ad acqua pressurizzata VVER, è la centrale più grande d’Europa e garantisce il 20 per cento dell’elettricità totale in Ucraina. Secondo la società di intelligence Janes, sostituire anche solo uno dei reattori dell’impianto costerebbe 7 miliardi di dollari. Non stupisce allora che i russi vogliano mantenere integro lo stabilimento, così come gli ucraini, che se ne perdessero il controllo dovrebbero fare a meno di un quinto dell’elettricità generata a livello nazionale. La situazione resta comunque confusa.
Nonostante l’occupazione russa, secondo l’Aiea, il personale ucraino non ha mai lasciato l’impianto e la società Energoatom continua a gestire le operazioni. I russi però, accusa Kiev, avrebbero tentato più volte di scollegare la centrale dalla rete ucraina e questo di per sé costituisce un rischio. Se, come spiegato dal direttore generale dell’Aiea Rafael Grossi, i reattori non sono stati danneggiati e per il momento non sono direttamente a rischio, anche grazie agli spessi sarcofagi di cemento armato che li proteggono (costruiti per resistere a terremoti ed esplosioni), un colpo ai depositi di combustibile o ai magazzini di rifiuti radioattivi potrebbe provocare un incidente nucleare.
In più, come sottolineato sul canale russo RT dall’esperto nucleare Valentin Gibalov, il protrarsi degli scontri potrebbe portare a uno scenario simile a quello che nel marzo 2011 colpì la centrale giapponese di Fukushima. L’impianto nipponico sopravvisse a un terremoto di magnitudo 9 sulla scala Richter con epicentro nell’Oceano Pacifico, ma in seguito fu colpito da uno tsunami che investì l’area della centrale. Fu proprio l’onda anomala a danneggiare i generatori di emergenza che alimentavano le pompe idrauliche, intaccando il raffreddamento del nocciolo e causando un surriscaldamento del reattore e il rilascio di radioattività. Un’interruzione dell’elettricità sarebbe preoccupante ma attualmente non è uno scenario impossibile.
Normalmente, l’impianto è servito da quattro linee elettriche provenienti dall’esterno e da una interna, necessarie ad alimentare i sistemi di sicurezza e di raffreddamento dei reattori. Al momento soltanto due linee funzionano, compresa una di riserva. In caso di guasto o sospensione dell’elettricità, il mantenimento in sicurezza dello stabilimento ricadrebbe sui generatori diesel. Nella Zaporizhzhia NPP ce ne sono attualmente 20, con un’autonomia di 10 giorni. Tuttavia, se questi venissero danneggiati, si guastassero o finissero il carburante, la totale interruzione dell’elettricità provocherebbe l’arresto dei sistemi di raffreddamento, rischiando potenzialmente una fusione. Ed è proprio per evitare questo scenario che anche l’ultimo reattore è stato portato in una situazione di arresto “a freddo”, che gradualmente riduce sia la temperatura che la pressione e quindi il rischio di fusione. Così la catastrofe è stata evitata, per ora.