Sulla XXXI edizione dei Giochi Olimpici a Rio de Janeiro è calato il sipario, ma non sulle storie degli atleti che vi hanno preso parte. È il caso del maratoneta etiope e del suo gesto compiuto al traguardo che non è passato inosservato.
Domenica 21 agosto, Feyisa Lilesa stava disputando la 42 chilometri e nel momento in cui ha tagliato il traguardo – arrivando secondo e aggiudicandosi la medaglia d’argento – ha incrociato le braccia mimando il gesto dei polsi ammanettati. Lo ha fatto come segno di protesta contro il governo del suo paese, l’Etiopia, e a sostegno del suo popolo, gli Oromo.
Gli Oromo sono una comunità etnica africana diffusa in Kenya e soprattutto in Etiopia dove rappresentano il 32 per cento della popolazione. Negli ultimi mesi, la popolazione degli Oromo in Etiopia è stata sottoposta a continue vessazioni e violenze da parte del governo.
Nell’ultimo anno, gli Oromo sono stati protagonisti di numerose proteste e rivolte soffocate nel sangue. Centinaia gli oppositori uccisi in maniera indiscriminata per mano del governo etiope. Secondo Human Rights Watch, più di 400 persone sono state uccise a partire dal mese di novembre. Come segno di protesta contro queste uccisioni, attivisti e membri della comunità degli Oromo sono scesi per le strade di Adis Abeba incrociando le braccia a X.
(Una protesta della comunità etiope degli Orom. Gli attivisti incrociano le braccia simulando dei polsi ammanettati. Credit Reuters)
Quel gesto compiuto dal maratoneta, ripreso dalle telecamere e trasmesso in mondo visione ha assunto un significato più ampio. Proprio per questo motivo, Lilesa rischia ora la vita passando da eroe nazionale per aver partecipato alle Olimpiadi a nemico da stanare.
Ma lui è pienamente consapevole dei rischi ai quali potrebbe andare incontro, dopo quest’episodio, ma non si è lasciato intimorire. Alla fine della gara, nel corso di una conferenza stampa, ha ribadito la sua posizione di sfida verso il governo etiope. “Stanno uccidendo il mio popolo, così sostengo ogni forma di protesta e ogni atto solidale in difesa degli Oromo”.
“Molti dei miei parenti sono finiti in carcere, e se si parla di diritti democratici si viene uccisi”.
Non solo uccisi, ma anche imprigionati nelle carceri del paese. “Se torno in Etiopia forse mi uccideranno. Se non lo faranno, probabilmente finirò in prigione. Per il momento non ho ancora deciso cosa farò una volta lasciata Rio”, ha sottolineato Lilesa.
La condizione degli Oromo e l’uso della forza da parte del governo etiope contro i civili hanno richiamato una certa attenzione solo di recente, ma non ha ricevuto lo stesso peso rispetto al gesto di sfida compiuto da Feyisa. Dall’ufficio dell’ambasciata degli Stati Uniti di Adis Abeba solo una breve nota è stata diramata nella quale si legge “la profonda preoccupazione per episodi recenti di violenze verso i manifestanti”.
Sui social media, Lilesa con il suo gesto ha ricevuto attestati di stima e di solidarietà divenendo per certi versi il nuovo eroe popolare.
Silver medalist Feyisa Lilesa: ‘If I go back to Ethiopia, the government will kill me’ https://t.co/dTYy0yUFta pic.twitter.com/v6IrEYf62K
— Sports Illustrated (@SInow) 21 agosto 2016