Otis Johnson è stato incarcerato quando aveva 25 anni. Quando è uscito, ne aveva 69. Era stato incriminato per tentato omicidio e aggressione a pubblico ufficiale.
Dopo aver passato 44 anni in prigione è stato costretto a confrontarsi con una realtà ben diversa da quella che ricordava. Sopra ogni altra cosa, nel corso del suo periodo in carcere, Otis non aveva certamente potuto vivere la rivoluzione tecnologica che il mondo aveva conosciuto e che vede il suo più grande simbolo in Steve Jobs, ideatore dell’azienda di tecnologie Apple.
Uscito di prigione, tutto quello che Otis aveva con sé erano la carta d’identità, 35 euro, due biglietti dell’autobus e un documento che riportava la sua fedina penale. A causa della detenzione, aveva perso ogni contatto con la sua famiglia, amici e ragazza. Non aveva la minima idea di dove andare.
“Nel 1998 non avevo più nessuno con cui comunicare”, ha raccontato in un’intervista ad Al Jazeera. Otis fa parte di quella fetta di detenuti americani con oltre 55 anni d’età che tra il 1999 e il 2014 è cresciuta del 250 per cento (quelli con meno di 55 anni sono invece aumentati solamente dell’8 per cento).
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sostiene che i programmi di reinserimento per tutti gli ex detenuti dovrebbero concentrarsi su istruzione, lavoro e ricerca di un alloggio. I detenuti più anziani, tuttavia, presentano lacune maggiori e proprio per questo necessitano di ulteriore sostegno.
Come dichiarato da una ricercatrice della Harvard Kennedy School, Marieke Liem, le persone che rimangono per molto tempo emarginate dalla società hanno bisogno che qualcuno insegni loro a utilizzare le tecnologie, i mezzi di trasporto, ad aprire un conto in banca, ma anche a prendere le decisioni più semplici come scegliere cosa mangiare.
“La prigione mi ha influenzato molto, è stata dura rientrare nella società perché le cose sono cambiate”, racconta Otis.
Il primo giorno di libertà Otis è andato a Times Square, a New York, e ha passato il tempo osservando le persone. Era stupefatto.
“Tutti sembravano essere di fretta e continuavano a parlare da soli con fili di ferro (gli auricolari) alle orecchie. Per un momento ho pensato che fossero tutti agenti della Cia”.
Non capiva cosa fossero quei dispositivi – i cellulari – e come le persone potessero camminare o utilizzare il telefono allo stesso tempo.
Con il tempo, Otis ha imparato a vivere in questa nuova e strana società. Adesso alloggia in un edificio dell’organizzazione no-profit Fortune Society a New York che si occupa di aiutare gli ex-detenuti.
Il suo sogno sarebbe quello di aprire un centro di accoglienza per le donne ma la banca finora non gli ha concesso alcun prestito, e presumibilmente non glielo concederà nemmeno in futuro proprio a causa del suo status di ex detenuto.
Durante il giorno, Otis ama stare al sole e guardare le persone che passano, frequenta la moschea e gli piace salire sull’autobus per scambiare quattro chiacchere con qualcuno.
Inoltre, pratica tai chi e verso le sei ogni giorno va in un parco a meditare. Alle nove di sera, orario di coprifuoco, deve rientrare a casa.
“È bello essere liberi”, conclude sorridendo.
(Questo il video dell’intervista all’ex detenuto Otis Johnson dal network Al Jazeera)