Alle 8 del mattino del 14 aprile, primo giorno di riapertura delle scuole in Sierra Leone, nella scuola primaria di Aladura, a New London, nel distretto di Bo, solo 5 studenti si sono presentati a lezione.
Fino allo scorso anno, gli alunni registrati erano 365, ma ora, dopo i 9 mesi in cui gli istituti scolastici sono rimasti chiusi a causa dell’epidemia di ebola, la maggior parte dei banchi sono rimasti vuoti.
Le scuole della Sierra Leone, erano state chiuse a partire dal mese di luglio 2014 per evitare la diffusione del virus, e sono state riaperte ad aprile.
Sono 1,8 milioni i bambini che non sono potuti andare a scuola durante questi nove mesi. Ma il mese scorso circa 8mila scuole hanno ripreso regolarmente le lezioni.
Secondo l’Unicef (l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia), la riapertura di scuole della Sierra Leone segna “un passo importante nella normalizzazione della vita” nel Paese.
Il ritorno a scuola, tuttavia, non è semplice. Più di 12mila bambini hanno perso uno o entrambi i genitori a causa dell’epidemia, e molti sono stati costretti a lavorare per mantenere se stessi e le loro famiglie.
Inoltre, la pausa forzata ha allontanato dai banchi di scuola per quasi un anno un’intera generazione.
“Le conseguenze socio-culturali ed economiche che i sierraleonesi dovranno affrontare nel corso del tempo sono ancora difficili da stabilire”, sostiene l’organizzazione umanitaria Street Child Italia, che lavora insieme alle istituzioni locali al fine di identificare i casi di bambini in difficoltà e garantire loro la possibilità di riprendere a frequentare le lezioni.
Kenie Bomorie è uno di questi ragazzi. Non si conosce con certezza la sua età, ma si pensa abbia tra i 12 e i 13 anni.
È rimasto orfano di madre qualche tempo fa e vive con un padre molto anziano che lavora saltuariamente come muratore.
Passa la giornata per strada, lavorando in maniera occasionale e aiutando il padre e i suoi due fratelli a sopravvivere. Nonostante voglia ricominciare a frequentare le lezioni, Kenie non può permettersi di abbandonare la famiglia.
Gli operatori di Street Child si sono interessati al suo caso e stanno aiutando Kenie a ritornare in classe e continuare a ricevere un’istruzione.
Oltre a identificare i casi a rischio, Street Child è impegnata ad assicurare agli studenti il materiale scolastico: zainetti, penne libri e divise vengono distribuiti dagli operatori di fronte le scuole, dal momento che, nonostante gli aiuti del governo, continuano a essere insufficienti.
L’ebola, che ha provocato oltre 10mila morti in Africa occidentale, ha ucciso più di 3.800 persone in Sierra Leone, dove i casi di contagio sono stati più di 12mila.
I nuovi casi sono però in calo nella regione. In Liberia, l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato sabato scorso che l’epidemia è stata sconfitta.
La Sierra Leone, invece, è passata da 25 casi confermati nell’ultima settimana di marzo, a 9 casi all’inizio di aprile.
La diffidenza e la paura però rimangono. Per questo, molti i insegnanti hanno ricevuto la formazione da parte dell’organizzazione e si stanno occupando di andare casa per casa a sensibilizzare e rassicurare le famiglie sulla necessità di mandare a scuola i figli e sull’assenza di rischi di contagio.
“La paura di contagio in Sierra Leone resta alta”, fa sapere Street Child Italia. “Nonostante non ci siano più termometri né secchi con acqua clorinata di fronte le scuole, il timore di potersi ammalare continua a terrorizzare le famiglie e i bambini. Mantenere una distanza di sicurezza tra le persone, abitudine prima sconosciuta ai sierraleonesi, è ora diventata parte integrante della quotidianità”.
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