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    Reportage TPI – Così il turismo si è mangiato il Costa Rica

    A quattro chilometri dalla futura pista di atterraggio del nuovo aeroporto di Palmar Sur, si trova Terraba Sierpe, la zona umida più grande e importante della costa pacifica centroamericana. Credit: Alice Pistolesi per Mongabay

    Il piccolo Paese del Centro America è una meta sempre più ambita, perciò il Governo vuole costruire un nuovo aeroporto a Palmar Sur. Cacciando i contadini e distruggendo un sito archeologico Unesco e un’area naturale protetta. TPI racconta la lotta dei residenti per la terra

    Di Monica Pelliccia e Alice Pistolesi
    Pubblicato il 12 Lug. 2024 alle 15:06 Aggiornato il 12 Lug. 2024 alle 18:02

    «Dal Pacifico alla costa caraibica assistiamo alla mercificazione della natura in Costa Rica. Le monoculture e il turismo su larga scala fanno parte di una stessa visione esportatrice ed estrattivista, che dimentica la popolazione locale». Riassume così le politiche degli ultimi decenni del Paese centroamericano Tania Rodríguez Echavarría, professoressa di ecologia politica all’Università del Costa Rica (Ucr). Uno sguardo globale che riporta all’attualità di un progetto emblematico di questo tipo di sviluppo economico e turistico è quello dell’Aeroporto Internazionale dell’Area Sud (Aizs). Un aeroporto, di cui si racconta nel rapporto pubblicato sul sito dell’agenzia di notizie ambientali Mongabay, situato nella zona di Palmar Sur, nel sud-est del Paese, che metterebbe a rischio sfratto centinaia di famiglie, il patrimonio archeologico e la zona umida più estesa del Costa Rica. 

    Il progetto del terminal prevede una pista di atterraggio di 2.600 metri da costruirsi tra Finca 9 e 10, due villaggi creati per ospitare il personale dell’azienda Banana Company of Costa Rica, una filiale della multinazionale statunitense United Fruit Company, che ha lavorato (e plasmato il territorio) dal 1934 al 1984. Oggi qui vivono circa 350 famiglie di agricoltori. Molte di loro rischiano lo sfratto. 

    «Un giorno stavamo scavando per costruire un recinto per gli animali e abbiamo trovato alcuni reperti archeologici, come pezzi di vasi, macine di mais, statuette a forma di scimmia e di cuore», spiega Ana Isabel Vargas Ortiz, contadina di 55 anni che vive a Finca 9, un villaggio vicino al Delta del Diquís, un’area archeologica della zona di Palmar Sur. Ana, madre di sette figli, è una dei leader della comunità che lotta contro la costruzione dell’Aeroporto Internazionale dell’Area Sud. 

    Senza lavoro e senza casa
    Come Ana Isabel Vargas Ortiz, molte altre famiglie sono in lotta per rimanere nelle loro terre. «Mio marito è stato il primo membro della nostra famiglia ad arrivare a Finca 9, vent’anni fa», ricorda Ana. «Ci siamo trasferiti qui e abbiamo lavorato in una cooperativa produttrice di banane. Quando l’azienda se n’è andata eravamo senza lavoro, ma abbiamo deciso di restare. Qui abbiamo cresciuto i nostri sette figli».

    Ora, la famiglia di Ana potrebbe essere sfrattata dall’appezzamento di terreno dove vive con una delle sue figlie e quattro nipoti. Anche gli altri figli che abitano nei lotti della vecchia compagnia bananiera sono attivi nella lotta contro il progetto dell’aeroporto. Nessuno di loro possiede le carte che provano la proprietà della terra in cui vivono – che sono in mano allo Stato – e praticano un’agricoltura di sussistenza su piccola scala, coltivando banane, yucca, fagioli e cocco. «Viviamo con i prodotti del nostro orto e vendiamo il resto per strada o nei piccoli supermercati», continua Ana. «Potremmo lasciare la nostra terra solo se il governo ci offrisse condizioni migliori, ma abbiamo paura di restare senza nulla in mano e non ci fidiamo delle promesse».
    Anche la famiglia di Grace Vargas Mendez è a rischio. Grace, 44 anni, vive con il marito e il figlio in un terreno che si trova nella Finca 10. «Siamo arrivati ​​qui perché non avevamo né casa né lavoro. Abbiamo affittato questi tre ettari, anche se all’inizio non c’era nulla. Siamo stati noi a piantare alberi da frutto e le colture necessarie alla nostra sussistenza», spiega mostrando con orgoglio la sua piccola piantagione di ananas e banane. Grace e le altre famiglie che vivono nelle Finca 9 e 10 non hanno acqua corrente in casa, perché la zona è considerata di “interesse pubblico e nazionale” dal governo a causa del progetto dell’aeroporto e non permette di effettuare nessun lavoro infrastrutturale.

    Per i residenti come Apolonia Hernandez Sequeira, conosciuta come “Doña Pola”, 65 anni l’aeroporto è già una minaccia concreta. Doña Pola abita ai margini della pista di atterraggio, già segnalata con paletti dall’Aviazione Civile Nazionale. Dopo una vita passata lavorando alle dipendenza della compagnia di banane prima e delle varie cooperative, poi, oggi, si guadagna da vivere vendendo pane e focacce di mais alle famiglie vicine. Lei, che abita nella piccola casetta di legno con due figlie e due nipoti, sarà la prima a essere sfrattata una volta che inizieranno i lavori.

    «Nel 1984, dopo la chiusura del business delle banane nella zona, i coltivatori sono rimasti disoccupati, senza titoli di proprietà fondiarie. Da quel momento sono coinvolti in contenziosi tuttora in corso con i proprietari terrieri, che negli anni hanno visto anche scontri molto forti con il governo», spiega Jose Mora, professore di geografia e coordinatore del programma divulgativo Kioscos Socioambientales presso l’Università del Costa Rica (Ucr).

    Un progetto contro i residenti
    L’Aeroporto Internazionale della Zona Sud metterà a rischio non solo le case delle famiglie residenti ma anche il sito archeologico di Finca 6 che è ubicato a circa 3 chilometri dalla futura pista di atterraggio. Patrimonio mondiale dell’Unesco dal 2014, l’area ospita manufatti precolombiani, come due misteriose sfere di origine sconosciuta.

    Dal punto di vista ambientale, l’area protetta Terraba Sierpe, situata a quattro chilometri dalla futura pista di atterraggio, potrebbe subire gravi conseguenze. Si tratta della più grande area umida composta da mangrovie (16.700 ettari) dell’America Centrale. È stata dichiarata area protetta nel 1994, anche per la presenza di oltre 150 specie di uccelli e di mammiferi, come le scimmie.

    Dal 2010, quando il governo ha dato il via libera al progetto con un decreto esecutivo, ci sono stati molti momenti di protesta. Lo scorso febbraio, nonostante l’ostilità delle famiglie residenti e il documento di valutazione negativa dell’impatto ambientale reso noto da parte della Segreteria Tecnica Ambientale (Setena), il governo ha inserito l’aeroporto tra i suoi obiettivi e il presidente Rodrigo Cháves ha annunciato che investirà 105 milioni di dollari per svilupparlo.

    L’annuncio della ripresa dei lavori è stata una doccia fredda per molti residenti della zona di Palmar Sur che nei decenni passati si erano mobilitati contro quel progetto con numerose manifestazioni e l’avevano considerato ormai sepolto.
    «Questo progetto è un esempio emblematico di come il nostro Paese si sta vendendo al turismo di massa», dichiara Mauricio Álvarez Mora, professore di geografia all’Università del Costa Rica (UCR). «L’obiettivo dell’aeroporto è far esplodere il turismo come già è successo in altre zone ad esempio nella regione di Guanacaste (nel nord del Paese, ndr)». Ora le famiglie residenti sono preoccupate che Palmar Sur possa seguire lo stesso destino, diventando una meta di turismo di massa.

    Nel 2010 era stata anche creata l’organizzazione “Lotta contadina per le terre del sud”, che si è battuta per varie rivendicazioni sulla proprietà fondiaria, inclusa la questione dell’aeroporto, mentre l’anno successivo l’area è stata attraversata da una grande marcia contro un progetto idroelettrico previsto nell’area del Diquís.

    «Il progetto dell’aeroporto non tiene conto dei criteri ambientali, quindi l’unico motivo che potrebbe salvare i residenti dallo sgombero potrebbe essere la preservazione dell’area archeologica, che con una struttura di quel genere così ravvicinata perderà immediatamente la certificazione Unesco», spiega Mauricio Álvarez Mora.

    La battaglia per tutelare l’area archeologica di Palmar Sur coinvolge anche una delle principali istituzioni culturale del Paese: «Il Museo Nazionale del Costa Rica sta effettuando una valutazione archeologica indipendente per la tutela del patrimonio, con lo scavo di oltre 3.700 pozzi, da completare nel mese di giugno», commenta Ifigenia Quintanilla, archeologa e direttrice del Museo Nazionale.

    Metamorfosi turistica
    Il Costa Rica è diventato, negli anni, una meta turistica sempre più ambita, su entrambe le coste. Secondo i dati dell’Istituto del Turismo del Costa Rica (ICT), il piccolo Paese Centroamericano (abitato da poco più di 5 milioni di abitanti che si concentrano per la maggior parte nella capitale San José) ha registrato una crescita storica nel numero di turisti e turiste che lo hanno visitato nel 2023 per via aerea: il numero di arrivi nel periodo da gennaio a dicembre ha raggiunto i 2.471.150, in crescita del 16,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022 e del 2,2 per cento se comparato al 2019.

    Più turismo significa più strutture e servizi, ad esempio l’aumento del consumo di acqua e della produzione di rifiuti. «Il turismo incontrollato sta cambiando il Paese», spiega Marta Castro, rappresentante del comitato ambientalista Covirenas. «I turisti non sono più quelli di qualche anno fa e hanno due tendenze: comprano le terre, deforestano per costruire e disinfestano con pesticidi per eliminare gli insetti».

    Nel 2023, il governo del Costa Rica, secondo l’attuale quadro giuridico, ha autorizzato l’abbattimento di 1.198 alberi, proprio nella regione di Puntarenas dove è in programma il progetto dell’aeroporto, per la costruzione di infrastrutture legate all’attività turistica. «Negli ultimi anni il Costa Rica ha sviluppato una vasta gamma di offerte turistiche: si va dall’avventura, a tour naturalistici, fino allo yoga. Si stanno appropriando delle tradizioni indigene per rendere invisibile la popolazione locale e trasformare il nostro territorio in un’area turistica ad uso e consumo del Nord del mondo», aggiunge Echevarria. «Abbiamo assistito alla lotta della popolazione locale contro la carenza idrica causata dall’eccessivo sfruttamento turistico, alla distruzione delle zone umide, alla perdita di biodiversità e alla riduzione dei fondi governativi per i controlli ambientali. Se diamo uno sguardo globale al Paese: nel nord, la regione di Guanacaste, ha avuto il peggiore sviluppo turistico con una diffusione massiva di resort all-inclusive, mentre l’area dei Caraibi meridionali soffre di più la deforestazione su piccola scala, dovuta a un diverso tipo di turismo”.

    La regione di Guanacaste, a sei ore da Palmar Sur e dove è stato costruito un aeroporto nel 1995, è la più turistica del Paese con il maggior numero di hotel, resort, appartamenti. E molti sono quelli in costruzione. Percorrendo la statale 34, sulla costa del Pacifico, si notano infatti decine di manifesti pubblicitari che promuovono la vendita di ettari di terreno per costruire appartamenti per turisti vista mare.

    Secondo l’ultimo rapporto del Collegio Federale degli Ingegneri e degli Architetti, il cantone costiero di Santa Cruz, nella regione di Guanacaste, possiede il maggior numero di m² di edifici costruiti nel Paese. Nel 2023 questo tratto di costa è stato caratterizzato da 948 mila m² di progetti edilizi, corrispondenti alla superficie totale costruita in altri 40 cantoni costaricani messi insieme.

    Le piste clandestine dei Narcos
    Dal mondo accademico e dell’attivismo si denuncia anche il possibile utilizzo delle nuove infrastrutture dell’aeroporto del Sud per scopi criminali: «Le regioni del nord di Guanacaste e quella al sud di Puntarenas rappresentano un crocevia strategico per il traffico di droga: dal Perù, all’Ecuador fino agli Usa e all’Europa», aggiunge Jose Mora. «Il Costa Rica è pieno di piste aeree illegali, costruite di notte e distrutte dalla polizia al mattino. Più che mai, il turismo e l’agro-industria sono una facciata per il narcotraffico».

    I narcotrafficanti, infatti, utilizzano spesso le piste di atterraggio clandestine dei piccoli aeroporti per scaricare le merci. Da novembre 2020 a dicembre 2023, il Servizio di sorveglianza aerea del ministero della Pubblica Sicurezza ha individuato 16 piste illegali in Costa Rica e Guanacaste è la regione con il maggior numero di sequestri. Un fenomeno che si inserisce in un difficile momento storico. Secondo l’Organismo de Investigación Judicial, il 2023 è stato l’anno più violento per il Costa Rica, famoso in passato per essere uno dei Paesi più tranquilli di Centro e Sud America. Sono stati 777 gli omicidi registrati fino a novembre, 238 in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Secondo la polizia nazionale sono 340 le bande criminali attive nello Stato.

    «Per quanto riguarda il progetto dell’Aeroporto del Sud siamo preoccupati che la pista di atterraggio possa essere usata per scopi legati al narcotraffico», prosegue Mora. «Come succede in altri aeroporti del Paese». 

    Ultima speranza
    Mentre il governo accelera col progetto dell’aeroporto Aizs, le famiglie residenti a Palmar Sur non hanno intenzione di abbandonare la loro lotta e adesso vogliono portare avanti azioni legali. 

    Intendono proteggere le proprie terre ed evitare che diventino come la zona di Guanacaste. «Abbiamo visto come l’aeroporto di Guanacaste sia nato per facilitare un  turismo di massa che ha trasformato il nostro Paese in passato e continua a farlo. Abbiamo paura che ciò accada anche nelle nostre terre», afferma Vargas Ortiz. «Ogni volta che incontriamo la comunità di Guanacaste coinvolta nella lotta per la terra nella loro zona, ci chiede di non rinunciare alla resistenza contro la costruzione dell’aeroporto. Ci invitano a resistere a questo turismo che sta distruggendo il nostro Paese e le nostre comunità, per essere un modello per tutto il Paese».

    L’ultima speranza per le famiglie residenti è trovare i tesori archeologici nascosti nel sottosuolo. «Speriamo di trovare nuovi reperti di valore durante i nostri lavori sul campo. Nuovi scavi archeologici faranno annullare il progetto dell’aeroporto», conclude Ana. «È la nostra ultima speranza. Preghiamo i nostri antenati affinché salvino la nostra casa e la nostra terra».

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