Sono bastate 48 ore per far impennare il prezzo della carne del 45 per cento. E per calcolare che, senza i sussidi quasi del tutto cancellati da Javier Milei, il nuovo presidente argentino (anarco-capitalista, qualsiasi cosa voglia dire, di estrema destra) l’importo delle bollette – acqua, luce e gas – è avviato a triplicare.
La ricetta “lacrime e sangue” imposta dall’outsider di 53 anni sbucato dal nulla e assurto quasi fulmineamente alla Casa Rosada si abbatte come una scure sulla carne viva di un Paese già allo stremo (142 per cento di inflazione, quasi metà dei cittadini sotto la soglia di povertà, 419 miliardi di dollari di debito pubblico, 44 miliardi da restituire al Fondo Monetario). Ma lo choc non era inatteso. Era stato annunciato perché, nella ardita visione di Milei che tutti in Argentina chiamano “El loco”, la scorciatoia per andare in paradiso passa per l’inferno. Solo domando il demone dell’iperinflazione con misure di emergenza ci si può rimettere in carreggiata.
Nell’attesa, ai poveri non resta che tirare ancor più la cinghia. Chi ha qualche soldo da parte si imbuca invece con maggiore frequenza di prima nelle “grotte”, i bugigattoli dei cambiavalute clandestini dove fino alle elezioni per un dollaro o un euro le quotazioni erano più che doppie rispetto al cambio ufficiale. Ma anche dopo la svalutazione del 50 per cento (da poco meno di 400 a 800 pesos per un dollaro), introdotta dal ministro dell’Economia Luis Caputo, resta conveniente il cambio pudicamente chiamato sui giornali “parallelo” o più elegantemente “blu”. In cui un euro, in costante ascesa, è quotato quasi 1.100 pesos.
Sopravvivere alla giornata
Per gli argentini acquistare valuta forte è l’accesso a un bene rifugio nella quasi certezza che domani il peso (declassato nel gergo brutale di Milei a escremento) varrà ancor meno.
Per i turisti, che non usano ovviamente mai la carta di credito (legata al valore non parallelo), c’è solo il fastidio di trascinarsi per strada ingombranti mazzette di contanti. Dovuto al fatto che il taglio massimo della valuta argentina è di 100 pesos (poco meno di 10 euro per il cambio blu).
Nelle festività di fine anno, stranianti agli occhi dell’europeo per il solleone dell’estate australe con Babbo Natale che gronda sudore sotto la canicola, l’Argentina si prepara a una stagione ancor più angosciosa di stenti. In un’atmosfera sospesa i più cercano di sopravvivere alla giornata. Chi dispone di liquidità si lascia alle spalle gli affanni prenotando con gli euro o i dollari accumulati in cassaforte le vacanze tradizionali a Punta del Este o a Mar del Plata. Nell’attesa è esplosa la febbre del consumismo spicciolo. Che riempie ogni sera i ristoranti, tanto è matematico che la cena di stasera costerà meno di quella di domani. Per gustare le delizie degli chef più rinomati occorre prenotare con largo anticipo. E nel quartiere Palermo, il più vivace della capitale, per alleviare l’attesa di un tavolo nei cambi di turno una bisteccheria che va per la maggiore offre gratuitamente agli avventori coppe di champagne.
Ma anche le classi medio-basse e, quando possono, perfino i ceti più disagiati cercano sollievo ai tormenti della tempesta che incombe con lunghe file davanti alle più economiche pizzerie nella fosforescente isola pedonale di Corrientes. Nelle cene si tende a parlare più di Messi che di Milei. Ma fatalmente poi il discorso cade sulle nuove stangate che entro un paio di anni dovrebbero spianare la strada della rinascita. E scoppiano furiose discussioni che portano alla luce le spaccature di un Paese profondamente diviso. Si rompono storiche amicizie, come in Italia ai tempi del berlusconismo al potere. Un gruppo di studentesse si spinge al punto di eliminare dalle rubriche telefoniche i numeri di tutte le amiche che hanno votato Milei accusate di tradimento della democrazia (riemersa 40 anni fa proprio in questi giorni dopo la dittatura militare). Coppie di professionisti di origine italiana, impiegati con buoni redditi nelle istituzioni dello Stato che l’anarcocapitalista intende smantellare, progettano di trovar rifugio nel nostro Paese.
Voto di protesta
“El loco”, epiteto di cui fin dall’infanzia si vanta Milei (immortalato di recente nel titolo della biografia best-seller curata da Juan Luis Gonzalez), è stato perlopiù sostenuto dai ceti medio-alti stufi di mantenere con le loro tasse l’assistenzialismo alla lunga disastroso del peronismo di sinistra. Che aveva candidato alla presidenza Sergio Massa, ministro dell’Economia nel governo di Alberto Fernandez e inevitabilmente corresponsabile della catastrofe finanziaria.
Milei ha raccolto consensi anche fra la moltitudine amorfa di delusi dalla corruzione dilagante nel clan della dinastia Kirchner. Oltre che nella maggioranza dei giovani, perlopiù sottoccupati, che si sono lasciati sedurre dal suo vitalismo visionario e galvanizzare come in un rito dionisiaco dal suo volgare slogan di rottura (Viva la libertad, carajo!, in cui l’ultima parola è liberamente traducibile “cazzo”).
Ma “El loco” non ce l’avrebbe mai fatta se a giungere in suo soccorso non fosse intervenuto l’ex presidente conservatore Mauricio Macri, smanioso di rivincita verso Cristina Kirchner, che ha praticamente ordinato alla sua delfina Patricia Bullrich (eliminata al primo turno) di accantonare gli insulti lanciatile da Milei e di stringere un’alleanza con l’astro nascente. Gli argentini, stretti nella morsa fra l’incubo del salto nel vuoto per il programma iconoclasta dell’outsider e la rabbia per i disastri peronisti, hanno optato per una rivoluzione ultra-radicale di destra nella speranza estrema, o nell’illusione, che si riveli almeno un male minore.
Ma capita che anche tra i suoi elettori prevalga lo scetticismo. «L’ho votato», confessa un’avvocatessa che si professa liberale, «ma sono quasi convinta che fallirà. Perché ha un carattere troppo stravagante, troppo umorale e troppo collerico. E si è fatto già troppi nemici, qui in Argentina e anche all’estero. Diciamo che il mio sostegno non nasce tanto da una fiducia nel suo programma ma dal disgusto per il peronismo. Ma mi rendo conto che è come nel calcio un tiro da centrocampo: quante possibilità ha di finire in rete?».
Terapia d’urto
Milei, il primo economista alla guida dell’Argentina, conta di andare in gol entro due anni. E di creare le condizioni per il ritorno del Paese nell’élite delle grandi potenze – come alla fine dell’Ottocento – entro 35. Senza specificare se, con l’aiuto di qualche riforma costituzionale, nel 2058 pensa di essere ancora lui al potere. Non nasconde però che la lunga marcia verso la prosperità dovrà passare attraverso uno sprofondamento ulteriore negli inferi della stagflazione (calo delle attività economiche e aumento del costo dei beni e dei servizi). Non ci sono soldi, ha premesso, e per risollevare l’economia serve una terapia d’urto che agli inizi creerà ancor più depressione.
Per abbassare l’inflazione nel 2024 al 100 per cento e ridurre il deficit (oggi al 17 per cento rispetto al Pil) impugnerà non più metaforicamente la motosega. Ridimensionando ai minimi la spesa pubblica con una manovra fiscale di 5 punti di Pil che colpirà solo l’apparato statale. Il ministro dell’economia Luis Caputo in una drammatica diretta televisiva ha subito tracciato la mappa del nuovo corso.
Oltre alla svalutazione del peso ha ufficializzato l’estinzione di oltre metà dei ministeri (oggi ridotti a 8 rispetto ai precedenti 19). E, ancora, stop alle aste per le opere pubbliche. Sussidi del tutto cancellati o quasi. Programmati ma rinviati a tempi migliori il piano di dollarizzazione, già parzialmente tentato e fallito da Carlos Menem, e la chiusura della Banca Centrale erogatrice bulimica di moneta e, secondo Milei, causa principale dell’iperinflazione. È allo studio infine un piano di privatizzazioni a raffica, a cominciare dall’industria petrolifera, dalla linea aerea nazionale e dalla televisione di Stato. Gli effetti a breve termine, lo riconosce lui stesso, potrebbero essere devastanti.
Costo della vita ancor più alle stelle, ondate di licenziamenti soprattutto nel pubblico impiego, povertà più diffusa. Con alta probabilità di esplosioni sociali e di aumento della criminalità già ai livelli guardia. Ma per Milei è il prezzo da pagare per sbarazzarsi dei carrozzoni e smantellare le fonti di corruzione di cui abusava la casta parlamentare.
Corsa a ostacoli
Il problema è che al Congresso il suo partito – “La Libertad avanza” – non ha i numeri per imporre la linea. Milei dispone di soli 38 deputati (su 257) e 6 senatori (su 72). E pur ricorrendo al sostegno dei congressisti della Bullrich si ritroverà quasi sempre in minoranza rispetto ai peronisti. Costringendolo a scendere a patti con il nemico. A meno di non decidere di governare a colpi di decreto, come gli ha suggerito il nuovo ministro degli Esteri Diana Montino che in un rigurgito di nazionalismo minaccia di riaprire contro il Regno Unito il dossier sulla territorialità delle Falkland. Ma con il pugno di ferro, avendo contro anche la maggioranza dei governatorati e i sindacati, esaspererebbe ancor più la tensione sociale. Senza contare che il nuovo ministro dell’Economia, Luis Caputo, ex presidente proprio della Banca Centrale destinata alla rottamazione e considerato il Messi del ramo, è più un fuoriclasse nella finanza che nella macroeconomia.
Anche sugli altri terreni la sua “libertà” avrà grandi difficoltà ad avanzare. In politica estera Milei ha già deciso di stringere alleanza con gli Stati Uniti (anche con Joe Biden, in attesa messianica di Donald Trump, suo maestro in populismo), con Israele (incoraggiato anche da un’attrazione personale verso l’ebraismo) e con l’Ucraina (Volodymyr Zelensky si è spinto per la prima volta in Sud America per omaggiarlo). E di revocare l’adesione ai Brics in cui tradirebbe il suo ultraliberalismo al fianco della Russia e della Cina, anche se però con Pechino – per vitali necessità di rapporti commerciali – non ha intenzione di recidere del tutto i legami. Nel Mercosur si guarderà in cagnesco con il Brasile di Lula, neanche presente al suo insediamento a cui ha invece assistito Jair Bolsonaro.
Milei ha poi contro vasti settori della società civile. I vescovi per le sue invettive contro Papa Francesco che nonostante gli insulti riservatigli dal “loco” nei comizi e negli show televisivi che l’hanno reso popolare (“gesuita che promuove il comunismo”, “amico di Castro e Maduro, comunisti assassini, “imbecille”, “rappresentante del Male nella casa di Dio”) dopo l’elezione lo ha però evangelicamente chiamato per congratularsi e forse accetterà l’invito per la prima visita di Stato nella sua patria. Le abuelas di piazza di Maggio per l’atteggiamento negazionista verso i crimini del regime militare (liquidati come gli eccessi di una normale guerra) amplificati dal fanatismo della sua vice Victoria Villarruel che vorrebbe cancellare la memoria della tragedia nazionale trasformando l’Esma, il principale centro di tortura del Paese, in un parco giochi. Le femministe per la sua avversione all’aborto (in compenso è favorevole alla vendita di organi umani). Le associazioni ambientaliste per la sua contrarietà alle misure contro i cambiamenti climatici.
Il gusto del pettegolezzo
Solo sul piano del gossip il Paese è unito. Tutta l’Argentina si appassiona come in una telenovela all’influenza esercitata sul suo pensiero dai quattro cani che ha fatto clonare negli Usa e con cui sostiene di dialogare. Al rapporto morboso con la sorella Karina che lui chiama boss e che gli cura un look giovanile da rockstar. Alla medium che lo avrebbe messo in contatto nientemeno che con Dio. Alla predilezione per il sesso tantrico. Alla stima per Al Capone considerato un “benefattore dell’umanità”. Al rapporto con la fidanzata Fatima Florez, un’imitatrice televisiva che metteva alla berlina Cristina Kirchner.
Ma il gusto del pettegolezzo, usato anche dal “loco” come arma di distrazione di massa, non allontana le preoccupazioni per la grande incognita. L’Argentina si è messa in buone ancorché spregiudicate mani? O Milei è uno dei tanti incantatori che abbindolano le folle? Un giornale spagnolo ha dipinto così il suo vasto programma: «Non vi darò niente, ma prometto che prenderò a calci nel sedere tutti quelli che vi hanno fregato».