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    Il Regno Unito dà una lezione al mondo aprendo i confini ai ribelli di Hong Kong

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi per Tpi.it
    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 4 Giu. 2020 alle 19:09 Aggiornato il 5 Giu. 2020 alle 14:02

    Il Regno Unito apre i confini ai ribelli di Hong Kong

    Dopo le limitazioni sull’immigrazione imposte nella fase post-Brexit, il Regno Unito si prepara ad accogliere milioni di cittadini di Hong Kong. Il motivo? Hong Kong è stata protettorato inglese dal 1841 al 1997 e il Regno Unito è disposto a rinegoziare le condizioni di immigrazione per i suoi ex cittadini. L’annuncio è stato dato dal governo di Boris Johnson: “Se la Cina approverà la cosiddetta legge sulla sicurezza, il Regno Unito rimodulerà i suoi termini di immigrazione da Hong Kong, aumentando la flessibilità della concessione del British National Overseas Passport”, un passaporto che può essere concesso, con alcuni limiti, a cittadini di ex aree coloniali britanniche.

    La proposta di una legge sulla sicurezza è stata per tempo caldeggiata dal governo di Pechino, che sulla città-Stato di Hong Kong mantiene solidi interessi economici e un forte controllo politico. Questa legge, secondo l’attivista Joshua Wong, intervistato da TPI, porterebbe di fatto ad un’eliminazione della libertà di espressione, con il rischio di vedere incarcerate migliaia di persone, ree solo di aver espresso opinioni contrarie all’ordine politico locale.

    Le rivolte di Hong Kong hanno portato sotto ai riflettori di tutto il mondo le violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo di Pechino, sollevando dubbi sull’opportunità di mantenere o sviluppare relazioni politiche con la Cina. La proposta del Regno Unito di aprire di fatto i confini ai cittadini di Hong Kong è stata comunicata dai media come un’assoluta novità nel panorama delle leggi dell’immigrazione, ma in realtà esistono sia precedenti, che precise logiche economiche.

    Il Regno Unito come molti paesi dell’Europa, presenta una popolazione in fase di invecchiamento, con un impatto economico considerevole su conti pubblici e produttività. Di norma, è più comune che siano gli individui giovani a migrare da un Paese all’altro, e con una popolazione istruita e produttiva come quella di Hong Kong, il Regno Unito avrebbe probabilmente tutto da guadagnare.

    La scelta del governo di Johnson non è però isolata nella storia. La Germania ha aperto di recente un canale privilegiato di accoglienza verso i profughi siriani, e non si tratta solo di ragioni umanitarie ma, anche in questo caso, di economia. Alcuni anni fa gli Stati Uniti avevano deciso di facilitare l’immigrazione dal Vietnam, mentre l’Italia aveva favorito le Filippine, dando priorità a un Paese con il quale veniva condivisa la religione cattolica. I flussi di immigrazione sono sempre stati favoriti dai Paesi che, superata la fase di crescita, si trovano a dover gestire l’invecchiamento demografico e le relative conseguenze economiche.

    In un contesto in cui è possibile ormai lavorare da ogni parte del mondo, restando connessi con qualunque Paese, l’apertura di frontiere, in maniera regolamentata, rappresenta una soluzione efficiente ai problemi che vivono oggi molte popolazioni, colpite da calamità ambientali, sociali, politiche. Il Regno Unito di Boris Johnson insegna che aprire ai flussi migratori non rappresenta una politica di compassione, ma una vera e propria strategia economica e culturale, per sostenere il Paese e favorire le migliori condizioni possibili a tutti i cittadini.

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