I risultati verranno diffusi solo a febbraio, ma una cosa è già certa: il governo finlandese ha deciso di non rinnovare l’esperimento del reddito di cittadinanza.
Il test era stato lanciato all’inizio del 2017, con la durata di due anni e su un campione di 2mila cittadini tra i 25 e il 48 anni.
Sebbene l’esecutivo non abbia rilasciato commenti in merito, e nonostante non si conoscano dettagli sull’efficacia della misura, la decisione di eliminarla porta a pensare che l’impatto non sia stato positivo.
Quella finlandese è stata una sperimentazione all’avanguardia, forse la più strutturata in Europa in termini di reddito minimo di base.
I 2mila beneficiari della misura hanno ricevuto per due anni 560 euro al mese. L’assegno veniva erogato in ogni caso, anche se il soggetto in questione trovava lavoro.
Non solo, ma le persone che ricevevano l’assegno non erano costrette ad accettare offerte di lavoro, come accade invece nella versione italiana che entrerà in vigore dopo il varo della manovra.
Il costo dell’esperimento è stato di circa 20 milioni, una cifra modesta dovuta al fatto che le persone coinvolte erano solo 2mila.
La particolarità di questa proposta è che è stata lanciata da un governo conservatore, di centrodestra e pro-austerity.
L’idea di fondo era quella di introdurre un diverso sistema di welfare, non incentrato sui sussidi di disoccupazione ma su un reddito di base che, per un determinato periodo di tempo, continua a essere ricevuto anche se si trova lavoro.
I benefici, secondo il governo finlandese, dovevano essere molteplici: innanzitutto le persone sarebbero state più incentivate a cercare un lavoro che le soddisfacesse, senza l’ansia di dover accettare impieghi sottoqualificati.
Nel lungo periodo, ciò avrebbe prodotto una maggiore soddisfazione tra i lavoratori e una crescita delle competenze.
Le persone, infatti, avrebbero potuto avviare delle attività in settori nei quali sono particolarmente portate, avendo del denaro che potesse fungere da copertura economica nelle prime fasi di avviamento dei progetti, e non restando comunque privi di risorse qualora queste stesse attività fossero fallite.
Inoltre, come segnala il The Guardian, secondo il governo finlandese la copertura economica di base doveva avere la funzione di incentivare le persone ad accettare dei lavori che altrimenti non avrebbero accettato.
Le persone, in Finlandia, sono infatti spesso disincentivate ad accettare lavori con contratti di breve durata: lo stipendio è di poco superiore al sussidio di disoccupazione, che però viene perso se si accetta il lavoro.
Nel momento in cui il contratto scade, però, è necessario richiedere nuovamente un sussidio, che a quel punto può non arrivare più o che comunque è condizionato a complesse pratiche burocratiche.
Se invece il reddito di base non è un sussidio di disoccupazione e viene erogato comunque, non c’è nessuno svantaggio nell’accettare un lavoro, perché i 560 euro continuano ad essere presi.
Scetticismo nei confronti dell’esperimento era già stato espresso da diversi esperti internazionali, in gran parte a causa delle modalità con cui era stato condotto.
Il New York Times aveva parlato di un provvedimento spot, che può dire poco o nulla sull’efficacia di un reddito di base. Quest’ultimo infatti dovrebbe essere testato non solo sui disoccupati, ma anche su persone che hanno un impiego.
Inoltre, il governo stesso aveva chiarito che non si trattava di un esperimento mirato a ridurre le disuguaglianze, bensì a spingere le persone ad accettare lavori che altrimenti avrebbero rifiutato.
Negli ambienti della sinistra, quindi, è stato visto da subito come uno strumento che, alla lunga, avrebbe incentivato soltanto ad accettare lavori sottopagati.
Inoltre, secondo un rapporto dell’OCSE, sostituire un sistema di welfare basato sui sussidi con un reddito di base di entità modesta, avrebbe l’effetto di aumentare la povertà, e non di ridurla.
Sul The Guardian, Markus Kanerva, uno degli studiosi che ha contribuito al progetto per il governo, ha precisato che non si trattava di un vero reddito di cittadinanza.
“Un reddito universale su vasta scala dovrebbe essere testato su diversi gruppi sociali, non solo i disoccupati, nonché su diversi livelli di reddito e a partire dalle condizioni di lavoro delle realtà locali. Nel nostro esperimento, si tratta invece di vedere come un reddito incondizionato di base influisce sull’occupazione delle persone che, quando lo ricevono, sono disoccupate”.
In Italia, il reddito di cittadinanza è ormai alle porte, e verrà definito nei dettagli da un decreto previsto per la prima metà di gennaio.
Qui vi abbiamo spiegato le ultime novità allo studio del governo, dall’obbligo di trasferimento per non perdere l’assegno ai soldi alle imprese che assumono i beneficiari della misura.
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