Perché il Recovery Fund non può essere definito il Piano Marshall europeo
Ha scritto Mario Monti sul Corriere della Sera che il Recovery Fund non è poi tanto diverso dal celeberrimo Piano Marshall. È vero, ma solo in parte. Vediamo il perché. Più citato che studiato, nel linguaggio politico il Piano Marshall è diventato sinonimo di intervento risolutivo per superare una crisi economica drammatica. Nei mesi scorsi, quindi, è stato più volte richiamato da Ursula von der Leyen e da diversi leader europei come modello a cui ispirarsi per fronteggiare gli effetti devastanti della pandemia.
Ovviamente, il contesto storico in cui maturò l’Erp (European Recovery Program), il vero nome del Piano, non è paragonabile a quello odierno. Infatti, non fu un regalo degli Usa ai paesi in macerie alla fine del secondo conflitto mondiale. Fu invece concepito per rifondare il sistema delle relazioni internazionali lungo tre assi: la riorganizzazione della struttura atlantica del mondo occidentale, naufragata con la Grande Guerra; il rilancio di un governo planetario attraverso l’Onu e il Fmi, il Gatt e Banca Mondiale, pilastri del progetto rooseveltiano; la formazione di un campo economico e militare compatto in funzione antisovietica.
Come ha osservato Mauro Campus (“L’Italia, gli Stati Uniti e il piano Marshall”, Laterza, 2008), l’elaborazione del Piano si inseriva nell’alveo della cosiddetta “Pax Americana”, ossia la creazione di rapporti di forza che sancivano, anche attraverso il “dollar standard”, l’egemonia degli Stati Uniti e l’affermazione del capitalismo in regimi saldamente liberaldemocratici. Per essere precisi, il Piano rappresentò la premessa di quel disegno. Con la regia di Washington, i Paesi europei – senza distinzione tra vinti e vincitori – si sedettero al tavolo dell’Organizzazione della cooperazione economica europea (Oece, antenata dell’Ocse), nata per ristrutturare il sistema produttivo continentale grazie alle risorse messe a disposizione dall’amministrazione Truman. Si profilò allora il processo d’integrazione europea, anche se successivamente prese strade autonome.
Il valore materiale del Piano derivava anzitutto dal suo importo (pari a oltre l’1 per cento del Pil statunitense). Esso non era composto solo da prestiti agevolati (alla cui riscossione gli Usa poi rinunciarono), ma da materie prime e beni che i 16 Paesi dell’Erp incamerarono gratuitamente, e che poi vennero immessi nel sistema produttivo attraverso aste o assegnazioni strategiche. Il ricavato della loro vendita alimentò un fondo vincolato al perseguimento di politiche della produttività e all’aggiornamento tecnologico dell’industria e dell’agricoltura. Questo meccanismo prevedeva due condizioni: che tutte le risorse fossero utilizzate, appunto, per la modernizzazione e lo sviluppo dell’economia; e, questa squisitamente politica, l’allineamento dei Paesi dell’Erp alla “American way of life” in termini di consumo e di appartenenza al “mondo libero”.
Cronologia del Piano Marshall
Il 5 giugno 1947 George Marshall, da pochi mesi segretario di Stato dell’Amministrazione Truman, decide di accettare una laurea conferitagli dall’Università di Harvard. L’ex generale apre la cerimonia con un discorso di undici minuti, poi ribattezzato “The Marshall Plan Speech”, in cui spiega le ragioni e insieme i principi di un piano di aiuti economici all’Europa. Non solo un programma di assistenza all’Europa è l’unica soluzione alla crisi economica del continente, ma aiutare quei paesi a tornare a livelli normali di produzione e consumo è nell’interesse degli Stati Uniti: la salvaguardia della pace, la stabilità politica e la resilienza di istituzioni libere e democratiche dipendono dall’intervento americano. Che non è da considerarsi “contrario ad un paese o ad una dottrina, ma contro la fame, la povertà, la disperazione e il caos”. Marshall annuncia a sorpresa, una settimana dopo, di voler includere nel Piano l’Unione sovietica e i suoi satelliti.
Il 19 giugno i ministeri degli Esteri di Francia e Regno Unito con un comunicato ufficiale sollecitano ventidue paesi europei a riunire i propri rappresentanti a Parigi per elaborare un piano di rilancio economico. I ministri degli Esteri di Regno Unito, Francia e Unione Sovietica, rispettivamente Ernst Bevin, Georges Bidault e Vjačeslav M. Molotov, si incontrano preliminarmente a Parigi, dal 27 giugno al 2 luglio, per la “Conferenza delle tre potenze”. Nel corso dell’ultima seduta Molotov legge ai presenti una dichiarazione intitolata “Obiezioni sovietiche al Piano Marshall”, in cui esprime le ragioni dell’opposizione dell’URSS.
Il 12 luglio 1947 la Conferenza per la Cooperazione Economica Europea, divenuta poi Commissione per la Cooperazione Economica Europea (Ceec), si riunisce a Parigi. L’Unione Sovietica declina ufficialmente l’invito ed esercita forti pressioni su Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria perché facciano lo stesso. I tre satelliti seguono le direttive di Molotov. A Parigi quarantotto diplomatici rappresentano quindici Paesi europei: Austria, Belgio-Lussemburgo, Danimarca, Francia, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia e Regno Unito. A settembre, a due mesi dall’inizio dei lavori, la Ceec presenta una relazione con la stima degli aiuti necessari ai Paesi europei e dei costi del “Piano per la Ripresa Europea”. La relazione prevede l’istituzione dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (Oece) per coordinare il programma di aiuti nel continente. La Repubblica federale tedesca entra ufficialmente nell’Oece con un anno di ritardo, il 30 giugno 1949, diventando il sedicesimo paese europeo incluso nel Piano.
Il 2 aprile 1948 il Congresso Usa approva l’Economic Cooperation Act, autorizzando il Piano Marshall. Il 15 aprile, al primo incontro ufficiale dell’Oece a Parigi, si discutono le richieste dei sedici paesi coinvolti. Poco dopo, sulla base dei dati forniti dall’Oece e approvati dall’Economic Cooperation Agency, il Congresso approva una legge per lo stanziamento dei fondi governativi. Il Piano Marshall viene ufficialmente avviato. Secondo uno studio del 1975 dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, il totale degli aiuti economici forniti all’Europa con il Piano Marshall tra il 3 aprile 1948 e il 30 giugno 1952 ammonta a 13.325,8 miliardi di dollari, di cui 11.820,7 di sovvenzioni e 1.505,1 di prestiti. Regno Unito, Francia, Italia e la Repubblica federale tedesca sono, in ordine decrescente, i Paesi europei che hanno ricevuto le somme più consistenti.
In generale, l’85 per cento degli stanziamenti concessi dagli Stati Uniti sono a fondo perduto, cioè senza alcuna contropartita da parte dei paesi partecipanti, e vanno quindi considerati come aiuti gratuiti. I privati che usufruiscono dell’importazione di merci Erp devono però pagarle ai rispettivi governi, che figurano come importatori; tali pagamenti vengono effettuati – anziché in valuta pregiata – in valuta nazionale, e vanno ad accumularsi in fondi speciali, i quali sono utilizzati dai governi per finanziare opere di ricostruzione. Nel caso dell’Italia, il fondo speciale (Fondo Lire o Fondo-contro partita) è costituito presso la Banca d’Italia, e con esso già sono stati finanziati importanti programmi di lavoro, in tutti i settori dell’economia nazionale.
Si possono quindi distinguere, nel quadro degli aiuti Erp: le forniture gratuite, i prestiti industriali per l’importazione di macchinari non disponibili sul mercato nazionale (i quali dovranno essere importati a preferenza da altre nazioni europee o, nel caso ciò fosse impossibile, dagli Stati Uniti), i Fondi-contropartita impiegati per la ricostruzione; e, infine, l’assistenza tecnica.
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