La Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro Daesh in Siria e Iraq ha annunciato che circa 400 miliziani, molti di nazionalità straniera, si sono consegnati nell’ultimo mese a Raqqa. Il colonnello Riyan Dillon, portavoce della Coalizione al Pentagono, ha dichiarato: “negli ultimi giorni circa 350 combattenti a Raqqa si sono consegnati alle Syrian Democratic Forces (SDF). Tra di loro c’erano molti stranieri. Sono stati tutti trattenuti dopo essere stati interrogati”.
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Il numero totale di miliziani che si sono arresi nell’ultimo mese sale così a 400. “La grande impresa ora sarà bonificare tutta la città dalle mine anti-uomo e dalle bombe inesplose”, ha aggiunto Dillon. Il portavoce dell’SDF Talal Sallo ha dichiarato a France Press: “Abbiamo terminato le operazioni militari a Raqqa”, ma nel pomeriggio di oggi Washington ha lanciato un nuovo allarme, affermando che almeno cento miliziani dell’Isis sarebbero ancora a Raqqa e dintorni.
L’Onu, intanto, esprime preoccupazione per i civili nella martoriata città. Negli ultimi giorni, secondo fonti civili locali, sarebbero scappate dalla città circa 3.000 persone, tenute come ostaggi e usate come scudi umani dai miliziani nella loro fuga. Anche Save The Children, attraverso il direttore del gruppo di aiuto Sonia Khush lancia l’allarme: “Forse l’offensiva militare a Raqqa sta finendo, ma la crisi umanitaria è nella sua fase peggiore. Molte persone sono perseguitate dagli incubi a causa delle violenze a cui hanno assistito e avrebbero bisogno di un supporto psicologico”.
Circa 270mila persone fuggite dalla città sono nelle tendopoli in condizioni di grave precarietà. Molte famiglie non hanno più case dove tornare e sono costrette a restare nella zona est di Deir Ezzor, dove si sta ancora combattendo. Daesh ha così perso la più importante città siriana di cui aveva preso il controllo, commettendo crimini efferati, abusi, furti contro la popolazione civile.
Tutti ricordano le drammatiche immagini degli oppositori siriani, tra cui alcuni minorenni crocifissi nella pubblica piazza dai terroristi del califfato a maggio del 2014. Quella volta si parlò di crocifissione di cristiani, e il Papa disse di “aver pianto quando ha letto la notizia”, ma fonti locali smentirono la ricostruzione, affermando che su quelle croci c’erano giovani appartenenti alla resistenza anti-Assad e anti al-Qaeda*.
Le immagini delle milizie dell’SDF sostenute dalla Coalizione internazionale guidata dagli Usa che entrano sui carro armati nella città di Raqqa hanno, per i siriani oppositori del regime di Bashar al-Assad un doppio significato.
Da un lato la fine di un incubo durato tre anni, che ha provocato migliaia di vittime, feriti, stupri e persecuzioni, ma dall’altro l’inizio di una nuova occupazione. “Raqqa non è Kobane, è una città siriana”, scrivono su Facebook attivisti locali.
“Il sostegno internazionale non è stato dato a noi che siamo gli abitanti del posto e che ci siamo opposti al regime di al Assad. Siamo stati liberati da Daesh, ma ora dobbiamo subire la presenza di queste milizie che sventolano la loro bandiera. Siamo di fronte a una ridefinizione demografica della Siria. Ci stanno cancellando dalla storia”.