Alle 6 del mattino del 14 agosto quando una gigantesca valanga di acqua e terra è precipitata dal costone della montagna chiamata ‘il filone di pane’ sul quartiere di Regent, a Freetown, capitale della Sierra, travolgendo ogni cosa: alberi, case, automobili, tutto è andato distrutto sotto la forza dell’acqua.
A oggi i morti sono più di mille e oltre tremila persone hanno perso le loro case, ma non si riesce ancora a fare la conta delle migliaia di dispersi.
“È il peggiore disastro ambientale che la Sierra Leone abbia mai vissuto. Stiamo seppellendo con le mani centinaia e centinaia di cadaveri ritrovati sotto il fango e ignorati dal mondo”, racconta Padre Jorge Crisafulli a TPI.
È un missionario salesiano del centro Don Bosco Fambul di Freetown, che da tempo si occupa di aiutare le persone più deboli del paese, considerato al quinto posto nel mondo, per livello di povertà. Ci ha spiegato cosa sta accadendo a Freetown da quando, all’alba del 14 agosto, una frana provocata da una forte inondazione ha travolto la capitale della Sierra Leone.
Come state vivendo questi momenti drammatici?
Le persone si chiedono: “Perché ancora la Sierra Leone?”, “Perché Dio ha voluto questo?”. La bellezza degli africani però è racchiusa nella grande capacità di sopportare le sofferenze: nonostante le difficoltà delle guerre e dei disastri ambientali, queste persone stanno ancora in piedi, camminano e vogliono andare avanti.
Anche il vostro centro è stato raggiunto dal fango?
Il nostro edificio si trova nel centro storico della città, in una parte più alta: per questo non ha subito danni, se non al piano terra. Insieme alle altre persone ci siamo sposati al secondo e terzo livello dell’edificio.
Quanto dista il centro Don Bosco dal luogo della frana?
Servono circa 30 minuti di auto per raggiungere il quartiere di Regent. Ci siamo precipitati lì e abbiamo assistito a scene terribili: tutto era distrutto, non era rimasto più nulla perché il fango aveva coperto ogni cosa. Si era infiltrato ovunque.
Tantissime persone sono morte e si continuano a trovare corpi che non riusciamo a riconoscere. Seimila persone devono essere ricollocate e altre verranno mandate fuori dalla cità per il timore di ulteriori morti.
Come vi siete organizzati al centro?
Il governo ci ha chiesto di ospitare i bambini, le donne incinte e quelle più anziane. Ora abbiamo 2.500 bambini, di cui il più piccolo ha solo un mese. La donna più anziana ha 47 anni, considerando che qui l’aspettativa di vita è molto bassa e si muore relativamente presto. Io, che ho 56 anni, sono considerato anziano.
Cosa sta accadendo adesso in città?
Nel caos molti bambini sono arrivati qui cercando un rifugio, molti altri sono dispersi. Alcuni sono rimasti orfani, altri si pensa siano morti o si trovino in altri ospedali. Abbiamo molte foto di bambini dispersi: le persone vengono a chiederci se abbiamo visto i loro figli.
Si tratta di una tragedia incredibile, ma oltre le storie di morte, esistono anche quelle di vita. Come la ragazza di 17 anni che quella mattina ha deciso di non andare a lavorare con la famiglia e, restando a casa, si è salvata. Poi è arrivata qui in lacrime, non ha smesso di piangere per due notti e due giorni.
Altri ragazzi hanno visto la loro famiglia travolta dal fango, essendo stati loro gli unici a sopravvivere.
Come state gestendo la situazione?
Abbiamo dovuto spiegare a una giovane madre che aveva perso il marito e il figlio, che aveva perso tutta la sua famiglia. Che il suo sogno era svanito per sempre. Che la sua casa, i suoi ricordi erano andati persi con il fango. Sono storie molto tristi e non è facile dare queste notizie.
Non è la prima volta che in Sierra Leone, dove l’abusivismo è diffuso, si verificano eventi simili con pesanti conseguenze. Dall’altra parte del mondo, l’uragano Harvey si è abbattuto sul Texas, causando ingenti danni ma un molti meno morti…
Sappiamo del disastro provocato dalla tempesta negli Stati Uniti, e nonostante non ci sia paragone per forza e potenza dell’evento climatico, possiamo vedere come i due paesi siano diversamente preparati ad affrontare queste catastrofi.
Basta vedere il numero di morti: 44 contro oltre mille. Tutto dipende da come sono preparate le persone, da come sono costruiti gli edifici, dalla disponibilità degli aiuti. Ma anche dal sapere affrontare queste emergenze e prevenire il rischio.
Noi non siamo affatto preparati.
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