Il governo del Sud Sudan ha accettato di ospitare sul proprio territorio quattromila uomini inviati come peacekeeper dalle Nazioni Unite nel tentativo di evitare un embargo sulle armi minacciato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu.
L’annuncio è arrivato dopo un incontro nella capitale Juba tra il presidente Salva Kiir e i rappresentanti del Consiglio di Sicurezza guidati dall’ambasciatrice degli Stati Uniti Samantha Power.
Da quando nel dicembre del 2013 scoppiò la guerra civile in Sud Sudan, dopo che il presidente Salva Kiir aveva accusato il suo vice Riek Macher di aver tentato un colpo di stato, i peacekeeper delle Nazioni Unite sono stati l’unica forza in campo a proteggere i civili coinvolti nel conflitto, allestendo campi profughi e consegnando aiuti umanitari.
Nell’agosto del 2015, i due leader avevano firmato l’accordo di pace, che prevedeva la creazione di un governo di unità nazionale, che tuttavia non è mai realmente entrato in vigore, a causa delle continue violazioni da entrambe le parti.
La tensione nel paese è alta dal mese di aprile quando, in base all’accordo di pace, il vicepresidente ed ex capo dei ribelli Riek Machar ha fatto ritorno nella capitale Juba per formare un governo di unità nazionale portando con sé 1.300 soldati.
A luglio sono scoppiati nuovamente violenti combattimenti tra le truppe fedeli al presidente Kiir e gli ex ribelli del vicepresidente Riek e il timore della comunità internazionale è che il Sud Sudan possa sprofondare nuovamente nella guerra civile e nel conflitto etnico tra i Dinka e i Nuer, le tribù dei due leader rivali.
In tre anni di combattimenti sono morte migliaia di persone e oltre due milioni di sud sudanesi vivono sfollati in campi profughi. L’economia del Sud Sudan è al collasso e c’è scarsità di cibo e acqua in molte zone del paese.
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