Dall’inizio della guerra civile in Siria 9 anni fa, milioni di rifugiati hanno cercato una nuova vita al sicuro in Europa via terra e via mare, attraverso la Turchia fino alla Grecia e attraverso il Mediterraneo.
Per arginare questa “emorragia” di migranti, nel marzo 2016, la Turchia e l’Unione europea (UE) hanno firmato un controverso patto che ha ridotto drasticamente il numero degli attraversamenti verso la Grecia. Negli ultimi giorni però quel patto è stato sciolto con conseguenze drammatiche.
Da quando il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha aperto la strada verso l’Europa ai quasi 4 milioni di rifugiati ospitati da Ankara, la Grecia sta utilizzando ogni mezzo per arginare le 117mila persone ammassate alla frontiera che tentano di entrare nel Paese.
Dall’alba di sabato 29 febbraio le autorità greche hanno impedito l’ingresso nel Paese a 24.203 persone. Altre 183 sono state arrestate e alcune di queste sono state già condannate a quattro anni di carcere e a una multa di 10 mila euro. A mettere in imbarazzo Atene sono i video che circolano online e che mostrano la Guardia costiera picchiare i profughi in mare e respingerli a colpi d’arma da fuoco in aria. A queste pratiche si aggiunge l’utilizzo dei gas lacrimogeni usati alle frontiere terrestri.
I corsi e ricorsi storici, però, insegnano che voltando lo sguardo indietro nel tempo ci si può sorprendere di come in passato i ruoli siano stati completamente capovolti.
Oltre 70 anni fa, al culmine della Seconda guerra mondiale, la Middle East Relief and Refugee Administration (MERRA) fondata dagli britannici nel 1942, collocò circa 40mila europei nei campi istituiti in Siria, Egitto e Palestina.
Il Merra faceva parte di una rete di campi profughi di tutto il mondo gestiti attraverso un modello collaborativo tra governi nazionali, militari e organizzazioni umanitarie nazionali e internazionali. Vari gruppi di assistenza sociale – tra cui il Servizio Internazionale per le Migrazioni, la Croce Rossa, la Fondazione Vicino Oriente e Save the Children Fund – si sono inseriti in questa attività di supporto al Merra. Successivamente i campi sono stati gestiti dalle Nazioni Unite.
È in questi luoghi che decine di migliaia di persone provenienti da tutta Europa cercavano rifugio. In particolare, va ricordato che, mentre le truppe tedesche e italiane occupavano la Grecia durante la Seconda guerra mondiale, decine di migliaia di persone fuggivano via mare nei campi profughi in Medio Oriente, compresa la Siria.
Solo alla fine della guerra quelle persone iniziarono a tornare a casa. La maggior parte riuscì a salvarsi, ma per alcuni di loro il viaggio di ritorno finì in tragedia.
La Bbc ricorda la storia di Eleni Karavelatzi. Questa donna aveva solo 12 mesi quando nel 1942 la sua famiglia fuggì dall’occupazione nazista di Kastelorizo, un’isola greca a 2 km dalla costa turca.
Dopo aver fatto tappa a Cipro, trovò riparo in un campo profughi a Gaza noto come El Nuseirat. Rimasero lì fino alla fine della guerra.
Altri rifugiati greci fuggirono dall’occupazione nazista in Siria. Venivano principalmente dall’isola di Chios, a pochi chilometri dalla costa turca.
“I tedeschi erano qui ed eravamo affamati. Avevo tre anni allora”, ricorda alla Bbc Marianthi Andreadi. “Quindi siamo partiti per la Turchia illegalmente e da lì abbiamo preso il treno per il campo di Al Nayrab ad Aleppo, in Siria”.
Gli archivi greci rivelano che il campo di Al Nayrab non era un vero e proprio insediamento permanente ma un punto di incontro, come afferma Iakovos Michailidis, professore di storia all’Università Aristotele di Salonicco. “Le persone sono state portate qui per brevi periodi di tempo prima di essere inviate in varie parti del Medio Oriente, o addirittura in Africa”.
I documenti forniscono informazioni limitate sulla demografia dei campi profughi della Seconda guerra mondiale in Medio Oriente.
Nel marzo 1944 i funzionari che hanno lavorato per il Merra e il Servizio migrazione internazionale (in seguito chiamato Servizio Sociale Internazionale) hanno pubblicato relazioni su tali campi profughi nel tentativo di migliorarvi le condizioni di vita. I report forniscono uno spaccato della vita quotidiana dei cittadini europei – in gran parte dalla Bulgaria, dalla Croazia, dalla Grecia, dalla Turchia e dalla Jugoslavia – che si sono dovuti adattare alla vita all’interno di campi profughi in Medio Oriente durante la Seconda guerra mondiale.
È incredibile notare come quei cittadini europei affrontarono le stesse medesime difficoltà che oggi devono fronteggiare persone in fuga da micidiali guerre, come quella in Siria, o in Yemen.
Percorrendo diversi chilometri per andare in città, ad esempio, i rifugiati nel campo di Aleppo potevano recarsi ai negozi per comprare beni di prima necessità, guardare un film al cinema o semplicemente trovare un po’ di distrazione dalla monotonia della vita del campo. E se anche il campo di Moses Wells, situato su oltre 100 acri di deserto, non aveva città nelle vicinanze, ai rifugiati veniva permesso di passare un po’ di tempo ogni giorno a fare il bagno nel vicino Mar Rosso.
Come testimonia questa copertina della rivista palestinese Huna Al Quds dell’11 gennaio 1942, ai rifugiati in arrivo dalla Grecia venivano distribuiti vestiti e alimenti. La didascalia sotto la foto dice “distribuzione di cibo e abbigliamento in Siria ai rifugiati arrivati dalla Grecia”.
Ma prima ancora della Seconda Guerra Mondiale, il Medio Oriente e la Siria in particolare, aveva già ospitato rifugiati greci, a partire dagli anni Venti. Allora il Paese arabo sotto mandato francese non si risparmiò, accogliendo migliaia di persone di nazionalità ellenica, fuggite dalla Turchia a seguito della greco-turca conclusasi nel 1922. Fu il trattato di Losanna, firmato nel 1923 tra la Turchia e le Potenze dell’Intesa, a porre fine al sanguinoso conflitto, ridisegnando i confini e ufficializzando lo “scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia”, che costrinse almeno un milione e mezzo di greci ad abbandonare i territori anatolici dell’ex impero ottomano. Migliaia di persone si diressero così nelle nazioni vicine per poi raggiungere la Grecia.
Secondo il professor Onur Yildirim dell’Università di Friburgo, nel 1923 furono almeno 17mila i rifugiati ellenici giunti in Siria e ospitati in varie città del Paese arabo, soprattutto nei pressi di Aleppo. La situazione era così grave che nel maggio del 1923 il presidente del Comitato per i rifugiati ellenici nella città siriana inviò un cablogramma al ministero degli Esteri di Atene, chiedendo di proibire l’afflusso di altri greci ad Aleppo, dove era “diventato impossibile ammettere” altre persone.
Nell’estate dello stesso anno, la condizione generale dei rifugiati greci fu definita “tragica e precaria” dai diplomatici presenti in loco. I rifugiati volevano infatti arrivare in Grecia, un Paese che molti di loro non avevano mai visto e che riuscirono a raggiungere soltanto a partire dal 1925.
Questo documento conservato dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, mostra alcuni rifugiati greci in un campo profughi ad Aleppo negli anni Venti.