Ora che la maggioranza dei votanti in Catalogna si è espressa in senso favorevole all’indipendenza con il voto del primo ottobre, il governo regionale catalano si trova a un bivio.
Anche se Madrid non riconosce ufficialmente la consultazione, la Generalitat, ovvero il governo della Catalogna, dovrà prendere atto del risultato delle urne, ma per farlo avrà diverse possibilità. Quali saranno le prossime mosse e come potrebbe evolversi la situazione?
Quali sono state le conseguenze immediate del voto?
Nelle ore immediatamente successive al referendum, il premier spagnolo Mariano Rajoy ha convocato i leader di tutti i partiti spagnoli per valutare come contenere lo scontro politico con i catalani. Il 2 ottobre, Rajoy presiederà inoltre la direzione del partito popolare per considerare gli sviluppi politici del referendum, che nel suo discorso ha definito “una messinscena”.
Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha convocato invece una riunione straordinaria del consiglio esecutivo per decidere le prossime mosse.
Il vicepresidente catalano Oriol Junqueras ha dichiarato che spetterà al parlamento di Barcellona, nei prossimi giorni, dichiarare l’indipendenza, in base alla legge sul referendum approvata lo scorso 6 settembre e poi sospesa dalla Corte costituzionale spagnola.
La presidente del Parlament catalano, Carme Forcadell, ha convocato la riunione dei capigruppo per stabilire la data e l’ordine del giorno della prossima assemblea.
Intanto, per la giornata di martedì 3 ottobre è stato annunciato uno sciopero generale in Catalogna da quattro sigle sindacali contro la repressione di Madrid.
Cosa prevede la legge sul referendum?
Il 6 settembre i parlamentari catalani hanno approvato la “Legge del referendum di autodeterminazione vincolante sull’indipendenza della Catalogna”, che predispone i passi successivi in caso di vittoria del sì alla consultazione.
A sostenere la decisione era stata la maggioranza di governo di Barcellona, guidata da Carles Puigdemont e composta anche da altri due movimenti: Uniti per il sì (Juntes pel sì) e il Cup (Candidatura d’unitat popular), un partito di sinistra e favorevole alla separazione da Madrid. L’opposizione aveva invece protestato lasciando l’aula, mentre i rappresentanti di Podemos – che nel parlamento catalano si chiama Podem Catalunya – avevano scelto l’astensione.
La legge prevede che, se l’esito delle urne si rivelasse positivo, le autorità catalane debbano dichiarare unilateralmente l’indipendenza. Il testo si autoattribuisce inoltre un valore normativo “supremo”, in nome della sovranità del popolo catalano, quindi potenzialmente superiore a leggi spagnole di senso opposto. Questa interpretazione, che richiama alcune sentenze di diritto internazionale, è tuttavia facilmente contestabile dalla Corte costituzionale spagnola.
Inoltre, il testo è stato votato dal parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi richiesta per la modifica dello statuto di autonomia della Catalogna, e non ha ottenuto il parere preventivo del tribunale costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legittimità delle norme catalane.
Questa controversa legge, prevede che entro i due giorni successivi alla proclamazione dei risultati ufficiali, il parlamento catalano si riunisca in una sessione ordinaria per “effettuare la dichiarazione formale di indipendenza, applicare i suoi effetti e cominciare il processo costituente”.
La legge, tuttavia, è stata sospesa l’8 settembre dalla Corte costituzionale spagnola, dopo un appello di Rajoy affinché il il referendum fosse dichiarato illegale. Secondo la costituzione del paese, infatti, la Spagna è indivisibile. Per Madrid, quindi il voto ha valore nullo, proprio come quello del 2014.
Quale sarà la prossima mossa del presidente catalano Puigdemont?
Nel suo discorso sui risultati del referendum, il presidente della Generalitat catalana ha detto che applicherà il risultato del referendum. “Noi cittadini della Catalogna ci siamo guadagnati il diritto ad avere uno stato indipendente che si costituisca nella forma di una Repubblica”, ha detto.
Puigdemont ha citato anche la legge sul referendum catalano, dicendo che nei prossimi giorni (mercoledì o giovedì) presenterà al parlamento catalano una dichiarazione d’indipendenza per applicare l’esito del referendum. L’assemblea, che è composta per la maggior parte da deputati indipendentisti, potrebbe votare in favore della proclamazione unilaterale dell’indipendenza.
Tuttavia, questa opzione, che esclude la possibilità di una trattativa con il governo di Madrid, è anche quella che comporta maggiori rischi per la sicurezza catalana. Le autorità spagnole hanno già reso noto che utilizzeranno “qualsiasi strumento legale” per impedire la dichiarazione d’indipendenza catalana.
C’è anche la possibilità, però, che il parlamento appoggi le negoziazioni con Madrid, dal momento che nell’ultima settimana alcuni deputati che appoggiano il governo catalano hanno detto di preferire questa linea.
Per questo, anche se al momento sembra difficile, non è da escludere che gli indipendentisti accettino di riaprire una trattativa con il governo e con i principali partiti politici spagnoli – tutti contrari alla secessione – sulla cessione di una maggiore autonomia per la Catalogna. Questo era in realtà l’obiettivo non dichiarato del referendum, ma dopo la reazione di Madrid e il pesante intervento delle forze dell’ordine, la scelta di un compromesso sarebbe probabilmente invisa alla maggioranza del popolo catalano.
Un’ulteriore possibilità, che aprirebbe nuovi scenari sul fronte catalano, è l’indizione di elezioni regionali anticipate. Il voto consentirebbe ai catalani di rafforzare la presenza dei deputati indipendentisti nel parlamento della Catalogna, ma comporterebbe anche il rischio di spaccature tra i partiti della regione.
Cosa può fare Rajoy per impedire la dichiarazione di indipendenza?
Il premier spagnolo Rajoy si trova al momento in una situazione molto delicata. Il capo del partito popolare guida attualmente un governo di minoranza, che si regge sull’astensione dei socialisti, e che potrebbe cadere da un momento all’altro.
Alcuni dirigenti indipendentisti hanno chiesto le dimissioni del premier Rajoy dopo gli scontri durante il referendum.
Dal canto loro, i socialisti di Pedro Sanchez, secondo partito più forte del paese, hanno condannato l’uso della violenza da parte della polizia e chiesto a Rajoy di aprire al dialogo con i catalani.
Andare a nuove elezioni, tuttavia, non sembra essere la scelta preferita al momento dai partiti spagnoli, che si troverebbero ancora una volta a rischiare l’ingovernabilità del paese (per formare il governo Rajoy sono servite due elezioni tra il 2015 e il 2016 e quasi un anno senza esecutivo).
Per questo, Rajoy deve mantenere il fragile equilibrio politico su cui si basa il suo governo, anche se è pronto a usare “qualsiasi strumento legale” per impedire la dichiarazione d’indipendenza catalana.
La scelta più estrema sarebbe quella di arrestare il presidente catalano Puigdemont, che è stato accusato insieme al vicepresidente Oriol Junqueras di disobbedienza, abuso di potere, presunte malversazioni e rischia otto anni di carcere.
Se il parlamento catalano dichiarasse l’indipendenza, inoltre, il governo centrale potrebbe applicare l’articolo 155 della costituzione, che sospenderebbe l’autonomia di Barcellona e trasferirebbe i poteri del governo catalano a Madrid.
Questa legge, che non è mai stata applicata prima, consente al governo di “adottare le misure necessarie” per costringere una Comunidad Autonoma al “rispetto forzoso” dei suoi obblighi e alla tutela dell’interesse generale.
Per applicare questo articolo, Rajoy dovrebbe specificare quali misure concrete intende adottare e sottoporle allo scrutinio del Senato, dove al contrario della Camera può contare sulla maggioranza assoluta.
Questa scelta, tuttavia, potrebbe dare il via a una nuova stagione di protesta da parte dei cittadini catalani, con il rischio di degenerazioni sulla sicurezza pubblica.
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