“Il vicepremier si è dimesso oggi a seguito delle accuse di avere fatto accordi con il governo di Putin in cambio del sostegno al suo partito di estrema destra nella scorsa tornata elettorale”.
No, non è un articolo che viene da un prossimo futuro italiano, ma una notizia pubblicata nel maggio di quest’anno in Austria, quando il vicecancelliere Heinz-Christian Strache, leader del partito di estrema destra FPÖ, si è dimesso per via della pubblicazione di un video in cui lo si vedeva promettere alla presunta nipote di un oligarca russo vicino a Putin la concessione di importanti appalti in cambio di un sostegno durante la campagna elettorale.
Il vicepremier Matteo Salvini, il suo amico faccendiere Gianluca Savoini e la Lega, se le indiscrezioni di questi giorni dovessero essere confermate, non sarebbero dunque gli unici sovranisti che, oltre ad amare la loro patria, sono stati soggiogati dal fascino della Russia targata Vladimir Putin.
Sovranista che vai russo che trovi, verrebbe da dire dando un’occhiata alle storie che hanno visto coinvolti molti dei partiti della destra euroscettica negli ultimi anni.
Già nel 2014 la leader del Front National Marine Le Pen e il suo partito sono finiti nell’occhio del ciclone mediatico a causa di un prestito di nove milioni di euro concesso loro da una banca russa per finanziare le attività elettorali.
La ciliegina sulla torta all’epoca la mise il report secondo cui il fondatore del Front National e padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, che ha fatto del suo anticomunismo una ragione di vita, aveva ricevuto due milioni e mezzo di dollari in prestito da una holding controllata da un ex agente del KGB: come a dire che quel che non poté Gorbaciov, poterono i rubli di Putin.
La Le Pen si è tuttavia difesa anche recentemente dalle accuse di essere finanziata da Mosca, dichiarando a Tallinn di essere intenzionata a rimborsare il prestito, concesso peraltro, a suo dire, a “un pessimo tasso d’interesse”.
Ma le sue continue dichiarazioni pro Putin e il suo pellegrinaggio al Cremlino in occasione delle Presidenziali francesi del 2017 (quando promise che, se fosse stata eletta, avrebbe tolto le sanzioni imposte alla Russia) lasciano pochi dubbi sull’intesa almeno politica fra il suo partito e il governo russo.
Un’intesa molto forte è anche quella che lega il presidente ungherese Viktor Orbàn e Mosca. Il leader di Fidesz, formazione politica fortemente euroscettica e xenofoba, ha infatti incontrato nel settembre 2018 il suo omologo russo portando a casa una forte alleanza su gas e nucleare.
Il meeting è stato visto da molti osservatori come un chiaro segnale per mostrare all’Unione Europea che l’alternativa est c’è ed è sempre più reale. “Uniti nei valori cristiani” aveva detto allora il leader magiaro, ma guardando alle sanzioni imposte all’epoca dalle istituzioni comunitarie sia a Mosca che alla sua Ungheria, definita da più parti come la prima “democrazia illiberale” europea, verrebbe da pensare che a unire i due governi non sia solo la fede cristiana.
D’altronde è logico per Vladimir Putin ricercare continuamente sul piano internazionale interlocutori da sostenere per far cadere quell’Europa liberale che al Cremlino è vista come un ostacolo obsoleto all’estensione della sua sfera di influenza, tanto che recentemente l’ex agente del KGB alla guida dell’ex Unione Sovietica da quasi vent’anni ha definito il modello liberale come “finito”.
Un’Europa spezzatino di Paesi indeboliti e magari disposti a barattare i diritti civili e sociali in cambio di accordi economici è chiaramente l’obiettivo ultimo di Mosca: e allora ecco che, oltre ai già citati Salvini, Le Pen e Orbàn, si guarda con favore anche a personaggi come il presidente ceco Miloš Zeman, aiutato durante la sua campagna per le Presidenziali del 2017 da siti russi che mettevano sul web fake news come quella che attribuiva al suo avversario suo avversario Jiří Drahoš non solo tendenze pedofile, ma anche l’intenzione di aprire le porte del Paese a un’immigrazione incontrollata (vi ricorda qualcuno?).
Eventi di questo tipo, la presenza nello staff di Zeman di un consigliere legato al Cremlino e la sua intenzione di indire un referendum per uscire dall’UE e dalla Nato sono valsi al presidente ceco la nomea di “controfigura” di Mosca.
E dichiarazioni come “La Russia è dieci volte più importante per noi della Francia” di certo non aiutano Zeman a scrollarsi di dosso queste accuse, da lui definite “idiozie”. Fra tanti che, più o meno palesemente, ventilano l’uscita dall’Unione Europea, non poteva mancare nelle grazie dello Zar chi questa uscita è quasi riuscito a portarla a termine.
Nigel Farage, leader del Brexit Party, è infatti noto per avere pubblicamente ammesso di “ammirare”, Putin che da parte sua ha sicuramente dimostrato di apprezzare invitando l’euroscettico più volte nelle televisioni russe, da dove il britannico ha potuto accusare l’Unione Europea di essere antidemocratica Questo dagli schermi di un Paese, la Russia, 134esimo su 167 nella classifica del Democracy Index.
Non tutti i sovranisti sono però così entusiasti del modello russo: l’europarlamentare del Partito dei Danesi Anders Vistisen ha definito l’inquilino del Cremlino come “un orso che può aggredire” e anche i nazionalisti al governo in Polonia non sono per niente entusiasti delle ingerenze russe, come la loro decisione di non invitare Putin a Varsavia in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale ha dimostrato.
Anche fra i sovranisti europei c’è quindi chi che ha capito la pericolosità dell’abbraccio con l’orso russo. Resta da capire cosa spinga gli altri sovranisti, in primis Matteo Salvini, ad andare in giro con le magliette di un uomo, Putin, che ha pubblicamente ammesso di disprezzare il sistema istituzionale del loro stesso Paese da cui loro stessi sono stati eletti e di cui dovrebbero essere rappresentanti e garanti.
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