La Pussy Riot Maria Alihokhina ha lasciato la Russia ed è arrivata in Europa travestita da rider. A raccontare la storia la stessa attivista al New York Times. Quando ha deciso di fuggire si trovava ai domiciliari e su di lei pendeva un altro mandato di arresto, solo l’ultimo di una lunga serie. Il primo era arrivato nel 2012, quando la 33enne era stata accusata di “teppismo e odio religioso” per aver cantato la “preghiera anti-Putin” munita di passamontagna davanti alla Cattedrale del Cristo Salvatore insieme ad altre compagne.
Negli anni di pandemia, poi, ha subito una serie di procedimenti penali per violazione delle norme anti-Covid, una sorta di pretesto utilizzato dalle autorità per punire dieci oppositori dopo le proteste di inizio 2021 seguite all’incarcerazione di Aleksej Navalny: il cosiddetto “affare sanitario”. Dalla scorsa è stata arrestata sei volte, aveva raccontato a Repubblica, ogni volta per 15 giorni e ogni volta per accuse fittizie. Si trovava ai domiciliari quando Vladimir Putin ha lanciato l’offensiva in Ucraina il 24 febbraio scorso, e in segno di protesta ha tagliato il suo braccialetto elettronico pubblicando la foto del cinturino spezzato sui social.
Così il 21 aprile è arrivata un’altra condanna, a 12 giorni di carcere. Ma l’attivista ha fatto perdere traccia di sé, e cinque giorni dopo il ministero della Giustizia l’ha inserita nella lista dei latitanti. Intanto si è travestita da rider per lasciare l’abitazione dove era ospitata da un’amica e ingannare i poliziotti che la sorvegliavano, e insieme a un collega è arrivata in auto in Bielorussia. Per settimane si è nascosta e ha evitato di essere identificata in negozi e hotel fino a quando, al terzo tentativo, è riuscita ad attraversare il confine.
Grazie all’intermediazione dell’artista islandese Ragnar Kjartansson ha ottenuto un lasciapassare che ha lo stesso valore di un passaporto europeo, con cui Aljokhina è arrivata in autobus in Lituania. “Le guardie di frontiera pensavano fossi “europea”, non russa, e stavolta mi hanno trattato con i guanti”, ha detto al New York Times, paragonando le sue ultime avventure a una “spy novel”. A Vilnius si è ricongiunta con la compagna Lucy Shtein che aveva lasciato la Russia un mese prima con lo stesso travestimento da corriere di un delivery dopo che qualcuno aveva vandalizzato con la scritta “traditrici” l’appartamento che condivideva con Aljokhina.
“Sono contenta di avercela fatta, perché abbiamo imprevedibilmente detto vaffanculo alle autorità russe. Ancora non mi rendo completamente conto di quello che ho fatto”, ha aggiunto nell’intervista, raccontando di aver viaggiato con al piede degli stivali neri senza lacci in memoria delle vessazioni subite in carcere, dove i lacci venivano confiscati. Li indosserà anche sul palco del tour che terrà, con altre Pussy Riot, a partire dal 12 maggio a Berlino, per raccogliere fondi per l’Ucraina.
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