LONDRA – L’EU Withdrawal Bill, detto anche Great Repeal Bill, dovrebbe ritornare in Parlamento fra due settimane, passaggio chiave per in tutta la procedura Brexit. Sarà la mega legge che trasformerà le migliaia di regole europee attualmente in vigore in leggi britanniche, da inserire nello statute book, garantendo così che non ci sia nessun vuoto legislativo non appena il Regno Unito sarà fuori dall’Unione europea.
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Il percorso di approvazione, però, si presenta pieno di ostacoli, e le diverse difficoltà saranno da vagliare prima nelle rispettive commissioni parlamentari di competenza.
I timori del Parlamento
A Westminster si teme che, per ragioni di tempo, il governo possa bypassare il controllo dei 650 parlamentari, utilizzando la giustificazione della mancanza di tempo necessario per poter trasformare in legge gli oltre 12mila regolamenti europei che in questi ultimi 44 anni l’Ue ha scritto per tutti i paesi membri. Senza queste leggi, una volta fuori dall’Ue, il Regno Unito avrebbe interi settori senza copertura legislativa.
Per circa il 10 per cento di queste disposizioni, il governo intende procedere con il tanto contestato Enry VIII powers, un antico istituto giuridico che consente all’eseutivo di legiferare senza il controllo parlamentare, utilizzando dei veri e propri decreti ministeriali.
Fra i più importanti emendamenti presentati da ambedue gli schieramenti, la richiesta di non abusare di questo antico strumento per riscrivere intere norme in un passaggio epocale per la storia istituzionale del Regno Unito, luogo di secolare tradizione parlamentare.
Voto parlamentare sull’accordo finale fra Regno Unito e Ue
Keir Starmer, ministro ombra per la Brexit, chiede garanzie sulla possibilità che l’accordo finale con la Ue (se raggiunto) venga sottoposto a votazione parlamentare prima del 29 marzo 2019, data prevista per il ritiro di Londra dall’Unione europea.
Fra i conservatori, invece, che al momento sono al governo, Ken Clarke e Domic Grieve, due pesi massimi dei Tories, hanno chiesto non solo che si voti preventivamente il probabile accordo, ma che l’eventuale periodo di transizione di due anni post-Brexit venga inserito per legge.
Sul periodo di transizione proposto, infatti, Theresa May ha detto che questo sarà attuato solo se verrà raggiunto un accordo per le future relazioni con Bruxelles, quindi con un buon esito dei negoziati in corso.
La devolution in Galles e Scozia
I timori riguardano tutte quelle aree di competenza che sia il governo della Scozia che quello del Galles gestiscono in maniera diretta al momento.
Settori quali l’agricoltura, l’ambiente e la pesca, attualmente materia di legiferazione da Bruxelles e amministrate in modo autonomo da scozzesi e gallesi, rientrerebbero infatti immediatamente sotto il controllo del governo centrale di Londra, senza sapere con certezza per quanto tempo.
Scozia e Galles chiedono invece che vengano direttamente gestite subito dai loro governi decentrati, in virtù del potere conferito dal referendum sulla devolution del 1997 durante il governo del laburista di Tony Blair. Queste preoccupazioni sono state manifestate nei recenti incontri fra le parti al n°10 di Downing Street.
Nell’attuale disegno di legge, esattamente alla clausola 11, è previsto che tali settori ritornino a Londra. Il governo ha promesso che quanto prima rigirerebbe le competenze verso Galles e Scozia, ma Carwyn Jones e Nicola Sturgeon, i due capi di governo interessati, chiedono garanzie immediate promettendo di votare contro nei loro rispettivi parlamenti.
Tali voti, nelle assemblee di Cardiff ed Edimburgo, non sono vincolanti per il governo centrale, ma creerebbero sicuramente un fortissimo strappo sotto l’aspetto politico-istituzionale.
Battaglia quindi garantita per il 14 novembre, quando si ripartirà dalla Camera dei Comuni, per la terza lettura della proposta di legge, con centinaia di emendamenti su cui dibattere.