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    40 mila persone hanno protestato a Barcellona contro gli arresti compiuti dalla polizia spagnola

    Migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro gli arresti ordinati dal governo di Madrid per impedire il referendum sull'indipendenza catalana. Credit: Reuters

    La Guardia Civil aveva arrestato 14 persone ed eseguito diverse perquisizioni per impedire l'organizzazione del referendum sull'indipendenza della Catalogna, dichiarato “illegale“ da Madrid

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 21 Set. 2017 alle 08:21 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:03

    Durante la tutta la giornata di mercoledì 20 settembre, almeno 40mila persone sono scese in piazza a Barcellona e in altri comuni della Catalogna per protestare contro gli arresti effettuati dalla Guardia Civil.

    La polizia spagnola ha infatti arrestato 14 persone, tra cui alcuni alti funzionari del governo della regione autonoma catalana ed eseguito una serie di perquisizioni all’interno degli uffici dell’istituzione regionale.

    Le proteste

    Le manifestazioni hanno visto la presenza di striscioni indipendentisti, bandiere della Catalogna e cori contro le cosiddette “forze di occupazione” spagnole. Tra gli indipendentisti e la Guardia Civil si sono registrati anche alcuni scontri, quando la polizia spagnola ha cercato di scortare alcuni arrestati presso i commissariati.

    Non è noto se ci siano stati feriti. L’obiettivo delle autorità spagnole è quello di impedire l’organizzazione del referendum sull’indipendenza della Catalogna, che avrebbe dovuto tenersi il 1 ottobre e che è stato dichiarato “illegale” dal governo di Madrid e sospeso dalla Corte Costituzionale spagnola.

    A seguito delle operazioni di polizia, migliaia di catalani hanno cominciato a riversarsi in strada, richiamati dai leader indipendentisti, per “proteggere pacificamente le istituzioni”. Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha definito i fatti avvenuti nella regione autonoma come un’imposizione di fatto di una sorta di stato di emergenza.

    Anche la sindaca di Barcellona, Ada Colau, ha criticato la decisione del governo di Madrid di procedere agli arresti, denunciandoli come “uno scandalo democratico”.

    Le autorità di Madrid hanno risposto confermando la legittimità delle operazioni di polizia e dei sequestri di documenti da parte della magistratura, sostenendo che non è stato imposto alcuno stato di emergenza.

    “Il governo tutela i diritti di tutti gli spagnoli”, ha detto Mariano Rajoy durante una seduta del parlamento di Madrid. “I giudici si sono espressi contro il referendum e come democrazia abbiamo l’obbligo di far rispettare la sentenza”.

    La cancelliera tedesca Angela Merkel ha espresso la propria vicinanza al governo spagnolo. “Abbiamo a cuore la stabilità di un partner così vicino”, ha detto Merkel.

    Le operazioni di polizia

    Il 20 settembre 2017, la polizia spagnola ha arrestato Josep Maria Jové, segretario generale della vicepresidenza catalana, Jordi Puignero, presidente del Centro Telecomunicazioni regionale, Jordi Graell, direttore del dipartimento di attenzione ai cittadini del governo.

    In totale, la Guardia Civil ha arrestato 14 persone durante la giornata e ha proceduto con la perquisizione di diversi uffici del governo di Barcellona. Tutte queste persone sono accusate di aver cercato di violare la sentenza della Corte costituzionale che ha sospeso la legge sul referendum approvata dal parlamento catalano.

    La Guardia Civil ha fatto irruzione negli uffici dei ministeri dell’Economia e delle Relazioni esterne della regione autonoma, oltre a quelli della presidenza catalana. La polizia ha anche perquisito una società di posta privata, sequestrando l’80 per cento delle notifiche di convocazione ai seggi referendari che dovevano essere inviate agli elettori entro il 1 ottobre.

    A seguito di queste operazioni, la polizia spagnola ha sequestrato milioni di schede elettorali necessarie per l’organizzazione del referendum sull’indipendenza della Catalogna, dichiarato “illegale” dal governo di Madrid.

    Il 19 settembre, in una serie di altre perquisizioni, la Guardia Civil aveva già scoperto diversi documenti, poster e volantini direttamente collegati alla consultazione referendaria. In particolare, nel comune di Terrassa, a pochi chilometri da Barcellona, la polizia aveva sequestrato alcune scatole contenenti oltre 45mila buste segnate con le insegne del governo catalano.

    Lo scontro tra Madrid e Barcellona

    Le autorità catalane erano state avvertite dal governo di Mariano Rajoy di non sfidare la decisione della Corte Costituzionale. “Questo referendum non si terrà” aveva detto il primo ministro.

    Inoltre, il procuratore generale della Spagna, Jose Manuel Maza, aveva affermato di essere intenzionato a denunciare i membri del parlamento catalano che non volessero rispettare la decisione della Corte.

    I legislatori catalani avevano risposto di essere pronti ad andare in prigione pur di permettere ai cittadini della Generalitat di esprimersi sull’indipendenza. Il procuratore generale spagnolo aveva infatti detto ai giornalisti di aver chiesto alle forze di polizia di indagare su qualsiasi preparativo da parte del governo catalano in previsione del referendum.

    Tra le attività sotto indagine figuravano la stampa di volantini elettorali o la preparazione di sondaggi in merito alla consultazione. Insegnanti, funzionari di polizia e amministratori  locali rischiano multe o addirittura la perdita del posto di lavoro, se dovessero rendersi complici delle operazioni elettorali.

    Nella regione – una delle più sviluppate della Spagna – vivono almeno 7 milioni di persone. Nonostante i sondaggi in merito alla consultazione referendaria siano stati rari, un’indagine statistica commissionata dal governo catalano a luglio 2017 suggeriva come il 41 per cento degli elettori sostenesse l’indipendenza, mentre il 49 per cento avrebbe votato no alla secessione da Madrid.

    La battaglia per il referendum

    Il 7 settembre 2017, il parlamento della Catalogna aveva votato a favore della legge regionale che permette di convocare il referendum sull’indipendenza. Il giorno successivo la Corte costituzionale spagnola aveva però sospeso la legge.

    A sostenere l’approvazione della legge era stata la maggioranza di governo di Barcellona, guidata da Carles Puigdemont e composta anche da altri due movimenti: Uniti per il sì (Juntes pel sì) e il Cup (Candidatura d’unitat popular), un partito di sinistra e favorevole alla separazione da Madrid.

    L’opposizione aveva invece protestato lasciando l’aula, mentre i rappresentanti di Podemos – che nel parlamento catalano si chiama Podem Catalunya – avevano scelto l’astensione.

    La Catalogna è una regione autonoma nel quadro costituzionale spagnolo. Barcellona è anche una delle aree più ricche del paese, il Pil pro capite della Catalogna è infatti al di sopra della media spagnola, superandola di quasi il 20 per cento.

    La Generalitat contribuisce in modo determinante all’economia nazionale, eppure, a causa dei trasferimenti interni verso il governo nazionale, Barcellona non riesce a spendere quanto potrebbe per i servizi ai propri cittadini.

    Da Madrid i lavori del Parlament di Barcellona sono visti con ostilità. Il governo di Rajoy e la Corte costituzionale hanno respinto come illegittime diverse misure approvate dalla Catalogna: non solo il documento che sancisce l’iter per l’indipendenza, ma anche la legge contro gli sfratti o le corride dei tori.

    Il 14 dicembre 2016 la Corte costituzionale spagnola aveva infatti bloccato i piani per il referendum secessionista.

    Il governo della Generalitat non ha però intenzione di desistere e intende continuare la propria battaglia per l’indipendenza da Madrid.

    “Vuoi che la Catalogna sia uno stato indipendente, nella forma di una repubblica?”, doveva essere la domanda presente sulla scheda che sarebbe stata consegnata ai cittadini catalani se la Corte costituzionale di Madrid non avesse bloccato il referendum.

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