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    Inizia il processo alle presunte killer del fratello di Kim Jong Un

    Credit: Afp

    Le due imputate si sono dichiarate innocenti per l'accusa di aver ucciso Kim Jong-nam. Rischiano la pena di morte

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 2 Ott. 2017 alle 12:39 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:14

    A Kuala Lumpur si è aperto il processo alle due donne accusate dell’assassinio di Kim Jong-nam. I giudici dovranno decidere se le due imputate credevano davvero di partecipare a un reality show quando hanno avvelenato il fratellastro del leader nordcoreano Kim Jong-un.

    Le imputate si sono dichiarate “non colpevoli”, ma rischiano di essere condannate alla pena di morte. Kim Jong-nam è stato ucciso il 13 febbraio all’aeroporto di Kuala Lumpur, in Malesia, dopo essere stato avvicinato da due donne che gli hanno strofinato addosso un panno imbevuto del gas nervino Vx.

    Le due sospettate sono state arrestate rispettivamente il 15 e il 16 febbraio. La 29enne vietnamita Doan Thi Huong e la 25enne indonesiana Siti Aisyah sono quindi state accusate di omicidio il 1 marzo 2017.

    La versione fornita dalle due donne non è mai cambiata, le imputate infatti hanno sempre sostenuto di essere convinte di partecipare a un programma televisivo e che si trattasse di uno scherzo.

    Pyongyang ha invece negato qualsiasi coinvolgimento nell’uccisione di Kim Jong-nam, negando la tesi dell’avvelenamento, ma le autorità malesi hanno riferito che quattro uomini nordcoreani, considerati dalla polizia malese spie coinvolte nell’omicidio, sono fuggiti dal paese asiatico lo stesso 13 febbraio 2017.

    La morte del fratellastro del dittatore nordcoreano aveva portato a un vero e proprio incidente diplomatico tra Corea del Nord e Malesia, con l’espulsione dei rispettivi ambasciatori e il divieto di libera circolazione imposto da ciascun paese ai cittadini dell’altro sul proprio territorio.

    Pyongyang aveva persino deciso di trattenere nove cittadini malesi, a seguito dello scontro diplomatico. La situazione si è poi risolta quando la Malesia ha deciso di restituire il corpo di Kim Jong-nam alla Corea del Nord e il regime ha liberato le nove persone detenute.

    Cosa è successo in aula?

    Le indagini sul caso sono durate oltre otto mesi e le due donne sono rimaste sempre le uniche sospettate di aver ucciso Kim Jong-nam. Le imputate sono giunte al tribunale di Shah Alam, alla periferia di Kuala Lumpur, con il capo chino e le manette ai polsi, passando di fronte ai giornalisti presenti fuori dall’edificio.

    In aula, le accuse sono state lette in malesiano, indonesiano e vietnamita. Le due donne accusate dell’omicidio hanno risposto alle imputazioni tramite i propri interpreti, dichiarandosi “non colpevoli”.

    Gli avvocati che difendono le imputate hanno sostenuto la tesi dell’estraneità delle due donne ai fatti, confermando come Doan Thi Huong e Siti Aisyah credessero di partecipare a uno “scherzo televisivo” e non erano al corrente delle intenzioni omicide dei quattro agenti nordcoreani presenti sul posto.

    Secondo la difesa infatti sono proprio le spie di Pyongyang i veri colpevoli dell’uccisione di Kim Jong-nam.

    Il procuratore malese ha invece affermato in aula di voler dimostrare che le imputate fossero pienamente consapevoli dei piani degli agenti nordcoreani e che tutti i complici di questo omicidio avessero in comune l’intenzione di uccidere.

    L’accusa ha riferito che le donne avevano anche eseguito alcune prove all’interno di alcuni centri commerciali di Kuala Lumpur, sotto la “supervisione” delle spie nordcoreane. L’identità degli agenti di Pyongyang non è stata rivelata.

    La procura ha intenzione di far testimoniare al processo decine di persone entrate in contatto con Kim Jong-nam, durante un procedimento legale che si prevede lungo e che durerà diverse settimane.

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