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    Presidenziali Francia 2017: Hollande non si ricandida, quale futuro per la sinistra?

    Francesco Maselli spiega cosa accade nella politica francese, in vista delle elezioni presidenziali del 2017. Archiviate le primarie repubblicane cosa succede a sinistra?

    Di TPI
    Pubblicato il 5 Dic. 2016 alle 17:22 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:36

    Francesco Maselli, doppia laurea in diritto italo-francese conseguita tra Parigi e Roma, spiega settimanalmente su TPI l’evolversi della corsa presidenziale francese che nel 2017 consegnerà l’Eliseo al successore di Francois Hollande.

    Di cosa parliamo oggi?

    1. Hollande non si candiderà. Vediamo perché il presidente, sorprendendo un po’ tutti, ha deciso di non difendere il suo bilancio e non chiedere un secondo mandato ai francesi.

    2. Manuel Valls sarà finalmente candidato alle primarie del Partito Socialista? E se sì, quante sono le sue possibilità e i suoi problemi?

    La decisione di Hollande 

    I motivi immediati della decisione

    Come sapete François Hollande ha scelto di non ricandidarsi alle presidenziali. La decisione è storica, mai era successo che un presidente in carica decidesse di non difendere il proprio operato e chiedere un secondo mandato ai francesi. Giovedì 1 dicembre 2016 in serata, dopo aver convocato una conferenza stampa con pochissimo preavviso, Hollande ha comunicato la sua decisione di cui, secondo quanto ricostruito dai giornali nei giorni successivi, nessuno era al corrente, nemmeno i consiglieri dell’Eliseo. Il presidente ha scritto da solo il suo discorso, e ha tenuto tutti in sospeso sino alla fine della dichiarazione.

    Prima di capire i motivi che hanno spinto François Hollande verso questa decisione va notata una cosa: dichiarare le proprie intenzioni così presto è insolito per il presidente della Repubblica francese in carica. Storicamente le elezioni si tengono a inizio primavera, e la maggior parte dei presidenti si è sempre dichiarata piuttosto tardi e in maniera poco studiata.

    Per fare un esempio, Jacques Chirac si ricandidò l’11 febbraio durante una conferenza ad Avignone, rispondendo candidamente “sì” alla domanda posta dal sindaco che ospitava l’evento. François Mitterrand si ricandidò a marzo, Nicolas Sarkozy il 15 febbraio.

    C’è un motivo abbastanza semplice: fare campagna elettorale per chi è al governo può essere piuttosto logorante, visto che in genere le elezioni si giocano sul cambiamento. Entrare in campagna molto presto può tra l’altro essere mal visto dagli elettori: un presidente impegnato per lunghi mesi nelle attività di propaganda dà l’impressione di occuparsi più della sua rielezione che della guida del paese.

    La decisione di tenere le primarie del Partito socialista ha senz’altro accelerato i tempi. Così come in Italia, in Francia questo strumento non è disciplinato per legge, adottarle è dunque una scelta autonoma delle formazioni politiche.

    Ora, sappiamo bene che possono essere uno strumento virtuoso, lo sono state per Romano Prodi, per Matteo Renzi, e abbiamo notato come sulle primarie sta costruendo il suo grande successo François Fillon, che senza questo passaggio con ogni probabilità non sarebbe il candidato dei repubblicani per il 2017.

    Per Hollande invece hanno rappresentato uno scenario da incubo visti i sondaggi. Il presidente si è trovato di fronte a tre ipotesi: perdere alle primarie, trovandosi da gennaio a maggio praticamente senza alcun potere, potendo addirittura essere costretto a dimettersi; vincere le primarie dopo una campagna molto dura e di pochissimo, dando in ogni caso un segnale di estrema debolezza, perché isolato nel suo partito e senza alcun sostegno di peso viste le divisioni nel governo; in ultimo, non partecipare alle primarie e presentarsi direttamente al primo turno, causando l’esplosione del Partito socialista e con ogni probabilità una candidatura autonoma della sinistra socialista che mai avrebbe accettato uno scenario del genere.

    La lunga crisi del “Président Normal”

    Detto ciò, i motivi del fallimento della sua presidenza sono più profondi e lontani nel tempo. Appena eletto François Hollande ha visto la sua popolarità decrescere costantemente, ed è stato subito messo in discussione dalla minoranza di sinistra del Partito socialista.

    Questo nonostante le difficoltà dei repubblicani (che allora si chiamavano Ump), in piena crisi a seguito delle accuse di brogli nel congresso del 2012 tra François Fillon e Jean François Copé. Anche durante i momenti più difficili per la Francia come gli attentati, quando il presidente incarna naturalmente l’unità nazionale, la fiducia in Hollande non ha mai superato il 35 per cento.

    La crisi della presidenza ha probabilmente trovato un punto di non ritorno nel progetto di déchéance de nationalité. Con questo progetto il presidente aveva dato via a una revisione costituzionale per inserire nel testo la possibilità di privare della cittadinanza francese i cittadini condannati per i reati di terrorismo.

    All’interno della maggioranza e del parlamento si è consumato uno scontro tra chi voleva che la disposizione si applicasse solo ai cittadini con doppia cittadinanza e chi, invece, aveva intenzione di estendere la pena indiscriminatamente a tutti. In questo modo la Costituzione francese avrebbe concesso la possibilità alle autorità della Repubblica di rendere apolidi i condannati per reati connessi al terrorismo.

    Dopo un lungo e durissimo dibattito che ha dilaniato la maggioranza stessa (Emmanuel Macron, all’epoca ministro dell’Economia, mentre il primo ministro Manuel Valls era all’Assemblea Nazionale a difendere il progetto, è andato in televisione a esprimere pubblicamente il suo dissenso), il progetto di revisione è stato affossato vista l’impossibilità di raggiungere un accordo.

    La proposta e il fallimento della déchéance de nationalité ha avuto un costo politico molto alto. Il ministro della Giustizia Christiane Taubira si è dimesso e i toni utilizzati tra gli esponenti della maggioranza hanno creato delle fratture insanabili. Hollande è parso incapace non solo di unire i francesi, ma addirittura la sua famiglia politica che ha anzi contribuito a disperdere.

    Il presidente è stato costretto dalla realtà a non ripresentarsi

    Hollande ha deciso di non candidarsi soltanto nelle ultime ore, visto che in precedenza era sembrato piuttosto propenso a difendere il bilancio della sua presidenza.

    Possiamo quindi affermare che Hollande non ha deciso spontaneamente di non ripresentarsi, piuttosto gli è stato impedito dalla realtà. Il suo bilancio politico è tutt’altro che limpido e positivo. Persino una delle sue iniziative migliori, ovvero il Mariage Pour Tous (i matrimoni tra persone dello stesso sesso), è stata foriera di grandissime divisioni e ha risvegliato una parte dell’attivismo del mondo cattolico che in Francia era politicamente ai margini da tempo, e che ha pesato tantissimo sia nelle piazze che nella scelta di Fillon come candidato dei repubblicani.

    La presidenza Hollande ha poi definitivamente allontanato le classi popolari dalla sinistra: da tempo la Francia in difficoltà non vota più per la gauche ed è passata in massa al Front National. Il presidente non è mai stato in grado di tenere unita la sua maggioranza, tanto da dover utilizzare spesso meccanismi di parlamentarismo razionalizzato per legiferare (in particolare l’articolo 49-3, l’equivalente della nostra fiducia), cosa che in Francia è un evento eccezionale.

    Un peso nella decisione l’ha senz’altro avuto il suo entourage: i figli e l’ex moglie Ségolène Royal lo hanno pregato di non sottoporsi a un’umiliazione personale e politica mai affrontata da un presidente.

    Infine vanno ricordati i danni causati dall’incapacità di tener fede all’immagine di Président Normal eletto per portare sobrietà all’Eliseo, dopo la presidenza “bling bling” di Nicolas Sarkozy, e invece protagonista di fughe amorose in scooter per andare a trovare le sue varie amanti, e soprattutto di dichiarazioni avventate che hanno distrutto la sacralità della sua funzione. Il punto di non ritorno è stato infatti la pubblicazione del libro “Un président ne devrait pas dire ça” (Un presidente non dovrebbe dire così).

    Il libro è un’intervista molto lunga (quasi 700 pagine), scritta dai giornalisti di Le Monde Gérard Davet e Fabrice Lhomme e frutto di un lavoro congiunto tra il presidente e i due autori durato più di quattro anni.

    Da inizio 2012 Hollande ha incontrato una volta al mese Davet e Lhomme in maniera informale: all’Eliseo, al ristorante, più volte a cena a casa dei giornalisti. Per contratto gli incontri sono avvenuti senza testimoni, interamente registrati (si parla di 60 incontri e più di 100 ore di registrazioni utilizzate) e il presidente non ha avuto diritto di leggere il manoscritto prima della sua pubblicazione.

    Nel libro Hollande ha insultato e preso in giro praticamente tutta la classe politica francese: ha detto che la magistratura è “lassista”, che il Partito socialista deve essere “liquidato” che l’islam “è un problema, nessuno ne dubita”, che i calciatori sono “dei bambini viziati” e così via. Ha anche ammesso candidamente di aver autorizzato assassinii mirati, motivo per cui i partiti di opposizione hanno provato a promuovere l’impeachment e la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta. Insomma, un disastro.

    Cosa farà adesso? Con ogni probabilità vedremo la sua popolarità crescere nei prossimi mesi, e potrà guidare il paese al riparo da dibattiti televisivi e attacchi quotidiani che sarebbero stati difficili da gestire per un presidente già altamente impopolare. Dopo le elezioni Hollande avrà di sicuro un ruolo nella ricostruzione del Partito socialista o di quello che ne resterà dopo il drammatico passaggio elettorale di aprile.

    E adesso?

    Archiviata la competizione interna dei repubblicani, nelle prossime settimane ci sarà da seguire come si evolveranno le cose a sinistra. Le candidature si chiudono il 15 dicembre c’è quindi ancora un po’ di tempo prima di avere i candidati ufficiali.

    Ragioniamo però brevemente su Manuel Valls, che con ogni probabilità sarà candidato al posto di Hollande. Anzi, ci si aspetta che annunci la sua candidatura proprio nel corso della conferenza stampa annunciata per il pomeriggio di lunedì 5 dicembre 2016.

    — LEGGI ANCHE: Manuel Valls ha annunciato la sua candidatura alle primarie del centrosinistra in Francia

    Valls, primo ministro dal 31 marzo 2014, nelle ultime settimane aveva aumentato di molto la pressione su Hollande, dopo che per mesi aveva invece giocato la carta della lealtà, almeno sin quando sembrava scontato che il presidente sarebbe stato ricandidato. Domenica scorsa ha rilasciato una lunga intervista al Journal du Dimanche in cui aveva chiarito di “essere pronto” e a seguito della pubblicazione del libro di Davet e Lhomme aveva in più occasioni preso le distanze dalle dichiarazioni avventate del presidente.

    È nella logica che sia candidato: sinora si sono dichiarati disposti a partecipare alle primarie solo concorrenti che avversano la linea del governo, è dunque normale che un rappresentate della linea governativa partecipi alla competizione interna. La candidatura di Valls ha però due grandi problemi.

    Il primo è intuitivo: è stato un primo ministro molto contestato e poco incline ai compromessi con la minoranza interna, che ha chiesto e ottenuto le primarie proprio per poter presentare una proposta alternativa a quella incarnata da Valls e Hollande.

    La campagna delle primarie sarà quindi incentrata sulla critica all’azione governativa, visto che Benoît Hamon e Arnaud Montebourg, i due candidati di peso della sinistra del Ps sono ex ministri di Hollande che hanno lasciato il governo in aperto dissenso con il presidente e Valls. Quest’ultimo potrebbe trovarsi isolato nel difendere il bilancio del presidente: difficilmente avrà dietro di sé la maggioranza del governo, che dovrebbe rimanere fuori dalla contesa, e non può (almeno al momento) contare su moltissimi appoggi all’interno del partito.

    Il secondo problema è che su molti temi può soffrire la concorrenza di Macron: se parliamo di rinnovamento e cambiamento l’ex ministro dell’Economia è molto più credibile, Valls ha 54 anni e Macron 39; Valls ha cominciato a fare politica con Michel Rocard sotto la presidenza di Mitterrand nel 1981, Macron sino a due anni fa era uno sconosciuto consigliere politico dell’Eliseo; Valls ha già partecipato e perso alle primarie della sinistra del 2011, Macron porta avanti delle idee che non sono state ancora giudicate minoritarie dagli elettori della sinistra francese.

    Lo spazio cui punterebbe naturalmente Valls in tema di economia è allo stesso tempo già monopolizzato dal giovane leader di En Marche!: la riforma dello stato in senso più liberale è uno degli argomenti su cui Macron è più credibile, non solo per il suo passato di successo nel privato e per la sua competenza innegabile, ma anche per la coerenza del percorso politico.

    Macron ha infatti lasciato il suo posto al dicastero dell’Economia dichiarando che non c’erano le condizioni per applicare le riforme che aveva in mente per la Francia, dimostrando di essere quindi una persona interessata più alle idee che alla poltrona.

    Ciò spingerà il primo ministro a fare una campagna molto repubblicana, incentrata sulla sicurezza e su una visione radicale della laicità. In questi anni Valls ha costruito una solida piattaforma in tal senso: ha pubblicato più libri sull’identità francese e il rapporto con le religioni, ha preso posizioni molto dure dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo (Valls ha apertamente sostenuto i sindaci che quest’estate avevano vietato il cosiddetto burkini sulle spiagge).

    Ha però più volte detto che in Francia ci sono “due sinistre irreconciliabili”, non in riferimento alla divisione tra il Partito socialista e la formazione radicale di Jean Luc Mélenchon ma proprio alle divisioni interne al suo partito. Insomma, Valls ha finora avuto un atteggiamento che renderà molto difficile presentare la sua candidatura come quella capace di tenere insieme una pluralità di posizioni all’interno dei socialisti.

    *Questo articolo è stato pubblicato con il titolo “Présidentielle 2017, undicesima settimana: Hollande non si ricandida” su francescomaselli.net ed è qui ricondivisa con il consenso dell’autore. Iscrivendovi alla newsletter di Francesco Maselli qui avrete inoltre accesso a grafici, video e foto. 

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