Il primo ministro dell’Islanda, Sigmundur David Gunnlaugsson, si è dimesso in seguito alle accuse che lo vedono coinvolto per i Panama Papers, la più grande fuga di notizie di cui siamo a conoscenza, attraverso cui è emersa la pratica del trasferimento di ricchezze nei paradisi fiscali da parte di migliaia di imprenditori, politici e personaggi dello spettacolo di tutto il mondo.
Il premier islandese è la prima vittima della diffusione dei documenti riservati della Mossack Fonseca.
A causa delle proteste e del possibile voto di sfiducia nei suoi confronti, Gunnlaugsson aveva chiesto al presidente islandese, Olafur Ragnar Grimsson, di sciogliere il parlamento, che avrebbe in ogni caso quasi certamente portato il paese a nuove elezioni.
I Panama Papers hanno rivelato che la moglie del premier Gunnlaugsson possedeva una società offshore alle isole Vergini britanniche, la Wintris, che è stata a lungo utilizzata per investire milioni di dollari e che sarebbe collegata con le tre banche islandesi fallite nella crisi del 2008.
Gunnlaugsson ha dichiarato che i beni riconducibili alla moglie sono stati tassati in Islanda e che ha sempre anteposto il bene del paese ai suoi interessi privati.
Ma i suoi oppositori ritengono che si tratti di un conflitto di interessi dei quali il primo ministro avrebbe dovuto informare l’opinione pubblica, tanto più che il governo sta stringendo degli accordi con i creditori degli istituti di credito che hanno dichiarato bancarotta.
Pertanto, lunedì 4 aprile, l’opposizione aveva fatto sapere di voler votare la sfiducia mentre migliaia di islandesi sono scesi in piazza di fronte al parlamento per chiedere le dimissioni del leader del governo di coalizione di centro-destra, al potere dal 2013.
Un portavoce del governo ha riferito che i crediti vantati dalla società nei confronti delle banche islandesi fallite ammontava a quasi 4 milioni di euro. Le principali banche commerciali del paese erano state duramente colpite nel corso della crisi finanziaria del 2008. Molti cittadini islandesi avevano ritenuto responsabile la classe politica per non aver saputo gestire la crisi.
Con undici milioni e mezzo di documenti, i Panama Papers costituiscono la più grande fuga di notizie della storia grazie a un’inchiesta giornalistica condotta dall’International consortium of investigative journalists, insieme al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, e ad altre 100 testate giornalistiche di tutto il mondo, tra cui l’Espresso.
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