Polemiche e accordi tra Buenos Aires e Teheran
La storia che mantiene in questi giorni argentini e iraniani appiccicati ai rispettivi giornali nazionali ha quasi 20 anni. Il 18 luglio del 1994, una Renault Traffic bianca stracolma di esplosivi è andata a sbattere contro l’entrata della sede della Associazione Mutuale Israelita Argentina (Amia) e della Delegazione delle Associazioni Israelite Argentine (Daia), in pieno centro di Buenos Aires, uccidendo 85 persone e ferendone altre 300.
L’Argentina era entrata ufficialmente da quel momento nella lista di Paesi che hanno sofferto attentati del cosiddetto “terrorismo internazionale”. Non era la prima volta a dire il vero. Due anni prima, il 17 marzo del 1992, un furgoncino carico di esplosivi aveva disintegrato l’ambasciata di Israele nella capitale argentina. Hezbollah rivendicò l’attentato, in cui persero la vita 29 persone, e comportò una lunga trafila giudiziaria con indagini del Mossad, Cia e servizi segreti argentini.
Ma quello della Amia è considerato l’attentato più sanguinoso compiuto in terra sudamericana contro un’entità israeliana. La comunità ebraica argentina è la più grande dell’America Latina, e la quarta nel mondo. I suoi membri hanno incolpato, appena dissipato il frastuono delle esplosioni, l’Hezbollah libanese, in combutta con alti membri del governo di Teheran. In effetti quest’ipotesi è stata ripresa da subito dalla commissione speciale istituita nel 1995 per far luce sulla vicenda.
Quel che gli investigatori ne ricavarono è una fittissima rete di responsabilità che coinvolge funzionari e poliziotti di entrambi i Paesi. Secondo la ricostruzione, l’attentato sarebbe stato perpetrato da membri dell’Hezbollah, con l’appoggio della polizia della provincia di Buenos Aires e col finanziamento diretto di Teheran. Il governo iraniano si sarebbe così vendicato di uno sgarro compiuto dall’allora presidente Carlos Saúl Menem, che stracciò un contratto di vendita di materiale nucleare diretto al Paese mediorientale.
Bisognerà aspettare il 2006 per il primo verdetto ufficiale. L’Argentina accusa otto ex funzionari iraniani di aver concepito, finanziato e facilitato l’attentato contro la Amia a Buenos Aires, e ne chiede la cattura internazionale. In base alla richiesta della giustizia argentina, Interpol rilascia allora i mandati di cattura contro l’ex presidente dell’Iran, Ali Akbar Ashemi (1989-1997), l’attuale ministro della Difesa, Ahmah Vahidi, l’ex ministro dell’Intelligence Ali Fallahijan, l’ex cancelliere Ali Akbar Velayati, l’ex comandante della Guardia Rivoluzionaria Mohsen Rezai e l’ex consigliere dell’ambasciata iraniana in Argentina, Mohsen Rabbani. Tre degli accusati – Rezai, Velayati e Fallahijan – sono oggi candidati alla presidenza nelle elezioni che si terranno il prossimo 14 giugno in Iran.
Teheran si è sempre rifiutata di consegnare gli accusati, nonostante l’Interpol abbia applicato il “codice rosso” sul mandato che pende sulle loro teste. Il governo di Mahmoud Ahmadinejad ha sempre colpevolizzato le “pressioni sioniste” sull’esecutivo argentino come responsabili della richiesta di estradizione, negando ogni vincolo del suo Paese con l’attentato e ha così evitato di attaccare direttamente il governo di Buenos Aires. Una scelta azzeccata, a quanto pare, viste le ultime novità.
Durante l’ultima assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente Cristina Fernández ha istruito il cancelliere argentino Hèctor Timerman, di origini ebraiche, di riunirsi con il suo omologo iraniano per discutere la situazione della “causa Amia”, bloccata dal 2006. Da quel momento, i contatti tra i due ministri degli Esteri sono stati intensi, e insieme hanno redatto una proposta di trattato bilaterale, presentato in Etiopia nel febbraio scorso, che potrebbe definirsi come inedito nelle relazioni internazionali.
Secondo il Memorandum i due Paesi si impegnano a portare avanti un’indagini congiunta sui fatti del ’94. Per farlo sarò creata la Commissione della Verità, composta da “cinque commissari, due delegati designati da ciascun Paese selezionati in base al loro prestigio legale e internazionale”, come recita l’accordo, e un quinto scelto di comune accordo tra i due Paesi. La commissione avrebbe il compito di sottoporre a interrogatorio gli accusati iraniani e stillare le conclusioni per favorire l’attuazione della giustizia argentina.
È questa la polemica che tiene banco oggi nell’attualità argentina. La comunità ebraica è spaccata di fronte alla volontà del governo di avanzare in questo senso. I detrattori dell’accordo assicurano che si tratta di un testo “confuso e incompleto”, mentre l’opposizione argentina critica l’idea che esperti stranieri giudichino il da farsi in un caso di rilevanza nazionale. Il governo, sotto l’impulso della stessa presidente, è riuscito a far approvare il testo dal Parlamento, e attende che lo stesso faccia quello di Teheran.
Se l’accordo verrà portato avanti, potrebbe essere un precedente importante nella soluzione di casi simili in altre parti del mondo. Le commissioni ad hoc, sono sempre state utilizzate per le indagini di casi particolari di attentati in un Paese. Ma in questo caso i Paesi coinvolti sono due, e la posizione dell’Iran nel panorama internazionale è più che nota.
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