Nel maggio 2014 Flavio Briatore aveva tenuto una conferenza presso l’Università Bocconi intitolata “Il manager del domani”, durante la quale aveva suggerito a centinaia di laureandi in economia e finanza che, qualora avessero voluto arricchirsi davvero, avrebbero fatto meglio ad aprire una pizzeria.
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L’affermazione aveva suscitato non poche polemiche, ma il fondatore del Billionaire non aveva tutti i torti. Almeno se si considera l’americana Domino’s Pizza, seconda catena al mondo – dopo Pizza Hut – per la produzione e consegna di pizze a domicilio.
Domino’s nacque nel 1960 in Michigan, quando i fratelli Monaghan acquistarono una piccola pizzeria chiamata DomiNick’s per 900 dollari, che avevano chiesto in prestito. Domino’s è diventata tale solo nel 1965, su suggerimento di un fattorino.
Cambiò il logo – una tessera del domino i cui tre punti rappresentano i primi tre negozi aperti – e due anni dopo aprì il primo negozio in franchising, modello di business allora quasi sconosciuto.
La crescita non si fece attendere e nel 1978 i ristoranti Domino’s erano già oltre 200. Poco dopo era partita un’espansione internazionale che la rese, gradualmente, ciò che è oggi.
Il rendimento delle azioni di Domino’s
Ma non sono i 2,47 miliardi di dollari di ricavi registrati nel 2016 a fare scalpore, e nemmeno i 13.811 punti vendita attualmente sparsi in 80 paesi del mondo, così come non stupisce il milione e mezzo di pizze che Domino’s sforna e consegna ogni giorno per soddisfare i palati di altrettanti consumatori.
A fare notizia è che se nel 2010 si fosse chiesto a un qualsiasi investitore di scegliere se acquistare un’azione Domino’s Pizza oppure un titolo a scelta tra Amazon, Apple, Facebook e Google, avrebbe indubbiamente optato per una delle ultime quattro. E avrebbe fatto malissimo.
(La crescita del valore delle azioni di Domino’s in confronto a quelle di Amazon, Apple, Facebook e Google)
Domino’s ha stravinto una sfida sulla carta inconcepibile: quella tra un franchising di pizze a domicilio e i colossi del settore tecnologico mondiale. Dal 2010, l’azione Domino’s ha registrato un tasso di crescita di oltre il 2mila per cento, passando da un prezzo azionario di 8,38 dollari a fine 2009 ai 184,13 dollari attuali, per un valore di mercato complessivo pari a 8,84 miliardi di dollari.
Le sopracitate Amazon, Apple, Facebook e Google, seppur cresciute con un tasso a due zeri e caratterizzate da capitalizzazioni ben superiori, a dir poco sfigurano.
Domino’s registra una performance straordinaria anche in confronto allo S&P’s 500, l’indice borsistico che riflette l’andamento delle 500 maggiori – e miglioriaziende USA:
(La crescita del valore delle azioni di Domino’s in confronto a quelle dell’S&P 500)
Perché Domino’s è cresciuta così tanto
Tutto merito dell’autocritica. Il 2009 è stato per Domino’s un anno di svolta. Dopo una decade di alti e bassi, cambiamenti strategici e una quotazione in Borsa nel 2004 accolta tiepidamente dal mercato, l’azienda ha iniziato la sua vera ristrutturazione nel momento in cui ha ammesso a se stessa una semplice quanto scomoda verità: produceva una pizza pessima.
Il punto di forza di Domino’s non è mai stato la qualità degli alimenti. L’utilizzo di cibo in scatola e di ingredienti surgelati e precotti ha permesso all’azienda di puntare piuttosto sulla rapidità d’esecuzione e consegna, noncurante della consistenza simil-cartonato e della difficoltà digestiva che i suoi clienti puntualmente sperimentavano.
È proprio nel 2009 che il presidente Patrick Doyle ha riconosciuto la necessità di una svolta e ha espresso la volontà di una rivoluzione interna: cambiare la ricetta. Che è un po’ come se McDonald’s stravolgesse il Big Mac o Burger King reinventasse il Whopper. Un cambiamento tanto rischioso quanto radicale.
Dopo due anni di ricerca e combinazioni, Domino’s scelse di intervenire su tutti e tre gli elementi base della pizza: nuova pasta, a base di aglio e prezzemolo e cotta al forno; nuova salsa, più dolce, con un tocco di piccante e l’aggiunta di spezie; e nuovo formaggio, nello specifico mozzarella con un’aggiunta di provolone, non più fatta a dadini ma sfilacciata.
La nuova ricetta – che fa comunque rabbrividire qualsiasi italiano – ha funzionato, dopo test sui consumatori, controlli di qualità, campagne di comunicazione e marketing volte a pubblicizzare il cambiamento e soprattutto a rimuovere la percezione negativa che ha aleggiato per tutti questi anni intorno alla qualità della pizza di Domino’s.
Il numero di clienti che affermarono di volerla ordinare di nuovo in futuro salì del 25 per cento e i ricavi, dopo quattro anni in sostanziale assenza di crescita, registrarono un +11,8 per cento, passando da 1,40 miliardi nel 2009 a 1,57 miliardi nel 2010.
Un vero e proprio boom, che permette un paragone ancora più ardito. Confrontando la crescita azionaria di Domino’s con quella di tutte le altre aziende quotate negli Stati Uniti con un valore di mercato superiore al miliardo di dollari, per un totale di circa 2.300 società, Domino’s le batte tutte, eccetto tre. Due del settore medico/farmaceutico e una di quello edile.
A ben vedere, c’è solo una società la cui crescita azionaria ha osservato ritmi paragonabili a quelli di Domino’s: cosa si fa, in genere, quando si ordina una pizza a domicilio?
(Confronto tra la crescita del prezzo delle azioni di Domino’s e quelle di Netflix)
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