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    Perché procrastinare fa bene e rende più creativi

    Sono diversi gli psicologi che sempre più spesso guardano alla tendenza a rimandare gli impegni nel tempo come a una virtù e non come a una maledizione

    Di TPI
    Pubblicato il 9 Giu. 2016 alle 13:32 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:16

    La procrastinazione, ovvero l’atto di rimandare un dovere o una qualsiasi azione (solitamente considerata poco interessante) non
    è necessariamente un male, almeno secondo quanto sostiene il professor
    Adam Grant, psicologo statunitense, secondo il quale procrastinare alimenta la
    creatività.

    Nel suo libro intitolato Originals:
    How Non-Conformists Move the World
    (letteralmente “Originali: come gli anticonformisti
    mandano avanti il mondo”), sostiene infatti che le persone creative tendono a
    procrastinare più degli altri.

    Secondo Grant, oltre l’80 per cento degli studenti
    universitari sono afflitti da procrastinazione, finendo per passare notti
    insonni prima degli esami, e circa il 20 per cento degli adulti dichiara di
    essere un procrastinatore cronico. Grant si definisce un “pre-crastinatore”, in
    quanto afflitto dall’ansia di iniziare subito un compito e finirlo il più
    presto possibile, proprio per paura di perdere il controllo sulla propria vita
    e di finire con l’acqua alla gola.

    Nonostante questo, secondo lo psicologo, le prime idee che
    ci vengono in mente sono di solito le più convenzionali che abbiamo, mentre
    procrastinare può spesso ottenere l’effetto di liberare la mente e incrociare
    per coincidenza qualcosa di insolito e originale.

    Anche secondo Anna Abramowski, psicologa britannica della
    City University di Londra, le persone che “procrastinano attivamente dimostrano un certo livello
    di fiducia in se stessi e di autonomia, perché sono consapevoli del rischio di
    sottoporsi a pressioni dell’ultimo minuto, e nonostante questo lo fanno lo
    stesso. Il che può essere una buona cosa, perché stimola la creatività e
    permette loro di impegnarsi in più attività allo stesso tempo”.

    Secondo la dott.ssa Abramowski, la maggior parte della
    letteratura scientifica si è concentrata sugli aspetti negativi della
    procrastinazione, parlandone come un ‘fallimento dell’autodisciplina’, e
    collegandola a un aumento dei livelli di depressione, ansia e bassa autostima.

    Un motivo per cui la gente procrastina può essere ricondotto
    addirittura all’infanzia, in quanto un’educazione rigida può spingere, come
    forma di ribellione, proprio a comportarsi all’inverso e quindi lasciare tutto
    irrisolto fino all’ultimo minuto.

    Le spiegazioni date dagli studiosi però sono anche altre,
    come la paura del fallimento, o addirittura del successo: riuscire a finire
    qualcosa troppo presto e troppo bene rischia di essere un motivo per essere in
    futuro caricati di più lavoro e più responsabilità; al contrario, ritardare e
    finire per fare male un compito può essere d’aiuto per scaricare la colpa del
    fallimento sulla procrastinazione più che sui propri demeriti.

    Anche se la procrastinazione è un tratto distintivo dell’uomo
    da sempre, la sua importanza, soprattutto in termini negativi, ha avuto un
    aumento nella società occidentale durante la rivoluzione industriale (circa
    1750), quando la gestione efficace del tempo ha iniziato ad avere un impatto
    crescente sul valore sociale degli individui.

    Sarebbero almeno sei, secondo la dottoressa, però, i vantaggi
    che il rimandare nel tempo può generare: le cose da fare vengono messe “in
    prima linea” nella mente; si possono imparare nuove abilità; dare più attenzione
    ai dettagli; acquisire strumenti migliori per portare a termine il compito;
    fare cose che normalmente non si farebbero; elaborare approcci nuovi e più
    creativi. 

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