L’autodichiarato Stato Islamico ha aperto un centro commerciale per sole donne a Mosul, in Iraq. Con un tweet, una giovane jihadista esprime il suo compiacimento: “Nessun fratello ammesso, questo è il Califfato”.
Sempre su Twitter, un’altra donna fedele allo Isis si vanta della sua nuova macchina: “Non ho mai preso la patente in Gran Bretagna, sono stata bocciata molte volte, ma qui guido questa. Siete gelose donne dell’Arabia Saudita?”.
Così si presentano sui social network le donne dell’Isis. Ma cosa le spinge ad arruolarsi nelle fila dei jihadisti?
Secondo un servizio della Cnn, rapidamente diventato oggetto di scherno da parte delle militanti dell’Isis, donne e ragazze sono attirate nei territori controllati dallo Stato Islamico dalle promesse di Nutella e foto di gattini.
Ma anche se l’affermazione che i gattini e la nutella sono i nuovi strumenti di reclutamento terroristici è ridicola, per Anne Aly, professoressa associata della Curtin University, dove cura il Programma di ricerca per il contrasto online dell’estremismo violento, essa riflette l’ossessione sempre più ampia sul tema delle donne occidentali che partono per l’Iraq e la Siria.
“Come i giovani occidentali che viaggiano per combattere per l’Isis, le giovani donne occidentali sono anch’esse attirate dalla promessa di una pura società politicamente e religiosamente islamica. Alcune sono anche attratte dalla promessa di avventura”, scrive Anne Aly in un articolo pubblicato sul Guardian.
La professoressa cita anche uno studio dell’Istituto per il dialogo strategico intitolato Becoming Mulan, in riferimento a un tweet di una sostenitrice dell’Isis. Lo studio ha rilevato che le donne occidentali si spostano nei territori controllati dall’Isis per ragioni molto simili a quelle che spingono gli uomini.
In particolare, dietro la loro scelta ci sono tre distinte ragioni: la prima è che ritengono che l’Islam sia sotto attacco; la seconda è che vogliono contribuire alla costruzione di una nuova società e alla fondazione del Califfato; la terza è che credono nel loro dovere individuale di migrare verso lo Stato islamico e nel senso di fratellanza che lega coloro che fanno questa scelta.
“Perché dovremmo essere sorprese che le donne vorrebbero unirsi all’Isis tanto quanto gli uomini e per le stesse loro ragioni? Dopotutto, le donne hanno avuto un ruolo nel conflitto per secoli sia con la loro capacità di supporto sia come combattenti attive”, scrive Anne Aly.
Una delle ragioni per cui il fenomeno del terrorismo femminile è così confuso è che, dal nostro punto di vista culturale occidentale, è difficile capire il motivo per cui le giovani donne che sono cresciute in Occidente e hanno goduto dei benefici dei diritti riconosciuti alle donne vorrebbero lasciare tutto ciò e migrare verso una società in cui si trovano ad affrontare la possibilità di servitù sessuale e di oppressione.
Secondo Aly, questo punto di vista ha definito molto del modo in cui l’Occidente ha visto le donne musulmane nel corso della storia.
“Lo stereotipo culturale ereditato della donna musulmana oppressa continua a definire il modo in cui le donne musulmane, e in effetti l’Islam in generale, è visto”, scrive la professoressa, “Nell’esplorare ulteriormente il fenomeno delle cosiddette ‘spose dei jihadisti’ dobbiamo essere consapevoli di non ripiegare su stereotipi ereditati dell’uomo musulmano arrabbiato e della donna musulmana oppressa”.
“Se infatti stiamo per affrontare la questione delle donne cresciute in Occidente che si uniscono all’Isis”, prosegue Aly, “abbiamo prima bisogno di andare oltre le immagini stereotipate delle donne come vittime. Dobbiamo riconoscere il loro ruolo nei conflitti e le loro esperienze complesse, non solo come terroriste, ma anche nella lotta al terrorismo”.
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