Nei primi 8 mesi del 2015, in Iran almeno 506 persone sono state messe a morte per reati legati alla droga. Il numero ha già ampiamente superato le 367 esecuzioni registrate nel corso dell’intero 2014 per lo stesso tipo di reati.
Il dato è stato raccolto tramite fonti ufficiali e non ufficiali dall’associazione Iran Human Rights, che si occupa della difesa dei diritti umani in Iran, ed è stato presentato l’8 ottobre, a pochi giorni dalla tredicesima giornata mondiale per l’abolizione della pena di morte, che ricorre il 10 ottobre.
A sottolineare la preoccupazione per questa cifra è stata la presidente di Iran Human Rights Italia, Cristina Annunziata, durante il convegno Le droghe non temono la pena di morte, organizzato dall’ong per i diritti umani Amnesty International e da Iran Human Rights Italia presso l’Associazione della stampa estera in Italia.
Negli ultimi 5 anni, sono state più di 2.500 le persone messe a morte per via delle leggi iraniane che puniscono una serie di reati legati alla droga (tra cui il traffico di più di 5 kg di sostanze stupefacenti derivati da oppio o cannabis e quantità superiori a 30 g di eroina, morfina, cocaina o loro derivati chimici) con la pena capitale.
La maggior parte dei processi per questi crimini si svolge davanti a Tribunali rivoluzionari, spesso a porte chiuse, senza che siano messe in atto garanzie fondamentali per la difesa dell’imputato.
Una delle ultime esecuzioni per reati di droga è stata quella di Mahmood Barati, un insegnante condannato sulla base della testimonianza di un pentito, poi ritrattata due volte. L’uomo non aveva precedenti penali e non era stato trovato in possesso di droga. Ciononostante è stato impiccato nella prigione di Gehzel Hesar lo scorso 7 settembre.
L’applicazione della pena di morte non è servita a ridurre il numero dei reati legati alla droga in Iran. Infatti, secondo un rapporto della polizia di Tehran, negli ultimi 9 mesi del 2014 nella capitale sono state arrestate in media 140 persone al giorno per accuse legate alla droga. Nello stesso periodo, il numero delle donne morte per overdose nel Paese è aumentato del 30 per cento rispetto all’anno precedente.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) coopera da anni con l’Iran, erogando finanziamenti multimilionari nei confronti di programmi per la lotta al traffico di stupefacenti. Il denaro corrisposto proviene anche da alcuni Paesi europei, come Italia, Germania e Francia.
In particolare, l’Italia ha erogato dal 1998 al 2014 più di 2 milioni di dollari (2.321.077 dollari secondo i dati raccolti da Reprieve, un’associazione che si batte per l’abolizione della pena di morte nel mondo) per finanziare 5 programmi per la lotta al narcotraffico in Iran.
Nello stesso periodo, in Iran, le esecuzioni per crimini connessi alla droga – possibili anche grazie ai finanziamenti dell’ufficio delle Nazioni Unite – sono state più di 3mila.
Alcuni Paesi europei, tra cui Danimarca, Irlanda e Regno Unito, hanno sospeso i loro finanziamenti ai progetti dell’Unodc in Iran, riconoscendo il legame diretto tra il finanziamento della lotta al traffico di stupefacenti e le condanne a morte per reati di droga.
L’Italia, che dichiara di sostenere l’abolizione della pena di morte nel mondo, non ha ritenuto finora di dover compiere la stessa scelta.
“Il governo italiano deve mettere la questione della pena di morte in Iran in cima all’agenda nell’ambito del dialogo con le autorità iraniane”, chiede la presidente di Iran Human RIghts Italia, Cristina Annunziata, “Lo stesso dovrebbero fare gli imprenditori italiani che, soprattutto negli ultimi mesi, viaggiano verso l’Iran in cerca di nuovi accordi commerciali”.
“Sono 33 i Paesi nel mondo che prevedono la pena di morte per reati legati alla droga”, ricorda Riccardo Nuory, portavoce di Amnesty International Italia, “Di questi, 12 considerano la pena capitale come obbligatoria, escludono cioè l’applicazione di qualsiasi attenuante da parte del giudice”. I Paesi che vi fanno un ricorso più frequente sono Arabia Saudita, Cina, Indonesia, Iran, Malaysia, Singapore e Vietnam.
Marco Perduca, esponente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, che si batte contro la pena di morte, ricorda inoltre che la previsione della pena capitale per reati legati alla droga è una violazione diretta del diritto internazionale.
Sulla base dell’articolo 6, paragrafo 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, infatti, il diritto alla vita può essere limitato con la sentenza capitale solo per i “reati più gravi”, come l’omicidio volontario. I reati connessi alla droga non soddisfano questa soglia.