Lunedì 10 luglio sette pellegrini indù, in gran parte donne, sono stati uccisi in uno scontro a fuoco nel Kashmir controllato dall’India a seguito di due attacchi di miliziani indipendentisti contro la polizia. A riferirlo è stata l’agenzia di stampa Reuters.
Il sovrintendente della polizia indiana Altaf Khan ha dichiarato che la finalità dell’attacco era scatenare la violenza settaria in tutta la regione e che responsabili di questo attentato terroristico sono i miliziani di Lashkar-e-Taiba, che hanno la propria base in Pakistan. Ma, secondo l’agenzia di stampa Reuters, il gruppo ha rispedito al mittente le accuse.
Secondo le forze dell’ordine indiane, i pellegrini stavano rientrando a casa dopo aver visitato il santuario di Amarnath sulle montagne dell’Himalaya, quando il loro autobus è stato preso di mira a un incrocio nei pressi della città di Anantnag.
Sempre in Kashmir, altri dodici pellegrini indù sono rimasti feriti nei combattimenti seguiti agli scontri tra la polizia e i miliziani indipendentisti. A seguito di questi attacchi, i gruppi nazionalisti indù legati al Partito popolare indiano, il partito di governo del primo ministro Narendra Modi, hanno scatenato violente rappresaglie contro i dimostranti legati alle sigle politiche kashmire che lottano per l’indipendenza dello stato a maggioranza musulmana controllata da New Delhi.
Nella regione del Jammu, una delle tre più grandi del Kashmir indiano, i membri del gruppo Bajrang Dal hanno bloccato il traffico per imporre uno sciopero in memoria dei pellegrini uccisi. Diverse proteste hanno avuto luogo anche a Mumbai, la capitale finanziaria del paese e nella città industriale di Ahmedabad in Gujarat, nell’India occidentale.
“L’attacco merita la più forte condanna da parte di tutti”, ha dichiarato il primo ministro indiano Narendra Modi su twitter. “I miei pensieri sono con tutti quelli che hanno perso i propri cari negli attentati in Jammu e Kashmir e le mie preghiere sono per i feriti”, ha aggiunto Modi.
Centinaia di migliaia di pellegrini indù visitano ogni anno la grotta di Amarnath nei mesi di luglio e agosto. Questa è situata a oltre tremila e ottocento metri sul livello del mare e dista più di 140 chilometri da Srinagar la capitale estiva dello stato.
Per raggiungere il santuario bisogna percorrere insidiosi passaggi montani. Una volta giunti sul posto, i devoti adorano uno stalagmite di ghiaccio a forma di fallo, considerato un simbolo di Shiva, il dio indù della distruzione e della rinascita.
Anche i leader separatisti kashmiri hanno condannato l’attacco. “Questo incidente va contro l’etica del nostro popolo”, hanno affermato in una dichiarazione congiunta Syed Ali Geelani, Mirwaiz Farooq e Yasin Malik, che guidano la lotta politica per l’indipendenza.
“Il pellegrinaggio annuale ad Amarnath fa parte della nostra tradizione e si è svolto pacificamente per secoli”, si può leggere ancora nello stesso comunicato. Anche durante le fasi più cruente della rivolta infatti, in corso ormai da 28 anni, il percorso dei pellegrini era stato risparmiato dalle violenze.
Nonostante il governo indiano stia cercando, attraverso forti misure repressive, di interrompere le proteste, il Kashmir resta comunque teatro di scontri. Il possesso integrale della regione, divisa al momento tra India, Pakistan e Cina, che ne occupa alcuni ghiacciai all’estremo nord, è stata la causa di ben due guerre su tre combattute tra Islamabad e New Delhi.
L’India accusa da anni il Pakistan di infiltrare militanti islamisti nel regione per condurre attentati terroristici, un’accusa sempre negata dalle autorità di Islamabad. Al momento New Delhi impiega migliaia di soldati per sedare le rivolte nella regione che da 28 anni continua a essere teatro di scontri e violenze in nome dell’indipendenza, al grido di azadi, letteralmente libertà in lingua kashmira.
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