La Cina sembra essere il principale beneficiario della guerra in Iraq. È quanto hanno scritto Tim Arango e Clifford Krauss sul New York Times domenica scorsa. Dal 2003 l’Iraq è diventato uno dei produttori di petrolio più importanti del mondo e la Cina è ora il suo più grande cliente, comprando quasi la metà dei più di 3 milioni di barili estratti ogni giorno nel Paese.
Michael Makovsky, un ex funzionario del Dipartimento della Difesa nell’amministrazione Bush che ha lavorato sulla politica petrolifera irachena, ha detto che “I cinesi dal punto di vista economico stanno beneficiando della guerra, e il nostro esercito sta contribuendo a garantire le loro forniture di petrolio.” Attualmente l’Iraq è il secondo produttore di petrolio dell’Opec dopo l’Arabia Saudita, ma il governo iracheno ha bisogno di investimenti pari a 22,8 miliardi di euro l’anno per raggiungere i suoi obiettivi di estrazione.
Per accedere alle immense riserve petrolifere irachene le imprese statali cinesi hanno colto l’occasione della caduta di Saddam e hanno investito più di 1,5 miliardi di euro l’anno e hanno trasferito centinaia di lavoratori in Iraq. Nel deserto vicino al confine con l’Iran, la Cina ha recentemente costruito un proprio aeroporto per portare la manodopera nei campi petroliferi nel sud dell’Iraq, e ci sono piani per iniziare voli diretti da Pechino e Shanghai verso Baghdad.
Max Fisher del Washington Post sottolinea i vantaggi dell’attività economica cinese in Iraq per gli Stati Uniti: gli investimenti in Iraq riducono ad esempio la dipendenza cinese dal petrolio iraniano, rendendo più plausibile la possibilità di sanzioni contro il regime degli ayatollah, in particolare riguardo al programma nucleare. Allo stesso tempo, l’interesse della Cina in Iraq potrebbe anche contribuire a stabilizzare il Paese che si trova ad affrontare un conflitto settario in crescita. Pechino sta pagando la sua fame di petrolio con la costruzione di infrastrutture.
La Cina recentemente è diventata il più grande importatore di petrolio al mondo e sta investendo senza riserve nell’estrazione di petrolio e gas. Oltre il 50 per cento delle sue importazioni provengono dal Medio Oriente.