Il 3 luglio il parlamento tedesco ha dato il via libera all’approvazione di un salario minimo di 8.50 euro all’ora. Il provvedimento riguarderà circa 3.7 milioni di lavoratori; sono esclusi i giovani sotto i 18 anni, i lavoratori stagionali e i venditori di giornali. La norma entrerà in vigore il 1 gennaio 2015.
La misura era la condizione più rilevante posta dal partito socialdemocratico (Spd) nelle 185 pagine dell’accordo siglato con i cristianodemocratici (Cdu) della cancelliera Angela Merkel per formare il governo di groβe koalition.
Il salario minimo garantito in Germania è stato uno dei temi centrali del partito socialdemocratico durante la campagna elettorale del 2013.
Nell’Unione Europea rimangono senza salario minimo l’Austria, Cipro, la Danimarca, la Finlandia, la Svezia e l’Italia.
Il salario minimo garantito, talvolta confuso con il reddito di cittadinanza, è legato all’occupazione e allo svolgimento di un lavoro, mentre il secondo è una misura assistenziale volta a sostenere i disoccupati.
In Germania verrà utilizzato per determinare lo stipendio dei neo assunti per i primi sei mesi di impiego e andranno valutati gli impatti sugli 8 milioni di “mini jobs”, ovvero i lavori part-time esenti da tasse e contributi previdenziali da massimo 450 euro al mese che hanno salvato molti tedeschi dalla disoccupazione.
Il salario minimo in Paesi dove la contrattazione collettiva è molto strutturata (come in Italia) ha un’utilità limitata per quei lavoratori coperti da un contratto nazionale. Anzi, le critiche che, anche da sinistra, arrivano alla misura tedesca è che la determinazione di un salario minimo rischia di compromettere il potere di trattativa dei sindacati a livello nazionale appianando verso gli 8.50 euro del salario minimo l’importo di paga oraria delle diverse categorie.
Da questo punto di vista i lavoratori a tempo indeterminato coperti dal contratto collettivo nazionale in Italia non avrebbero molto da guadagnare da una legge sul salario minimo. Viste le attuali leggi sul lavoro non ne avrebbero molto giovamento nemmeno i numerosi precari dato che, come in Germania, la determinazione di una paga minima oraria sarebbe di difficile implementazione per i collaboratori occasionali o le “finte” partite IVA.
Per questo in Italia si parla più opportunamente di “reddito di cittadinanza” o di “sostegno per l’inclusione attiva”. I soggetti da tutelare maggiormente non sono infatti i lavoratori a tempo indeterminato ma precari e disoccupati. Le due misure, seppur con meccanismi e forme di finanziamento diverse, puntano a sostenere e tutelare le persone nei periodi di disoccupazione o a integrare il loro reddito sino a raggiungere livelli di sussistenza sufficienti.
Come sempre i problemi principali sul piatto rimangono due: trovare le risorse per finanziare questi interventi e creare maggiori posti di lavoro. Forse, dunque, il grande clamore suscitato dalla nuova legge tedesca andrebbe posto in una cornice di maggiore realismo.
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