È salito a 145 il bilancio ufficiale delle vittime provocate da un terremoto di magnitudo 7,5 che ha colpito la Papua Nuova Guinea il 25 febbraio 2018.
Secondo i funzionari del governo del paese a sud-ovest del Pacifico, però, il numero dei morti è ancora parziale.
A quasi tre settimane dal sisma che ha colpito le province di Hela e di Southern Highlands, sono 35mila le persone rimaste senza casa e sfollate dalle autorità di sicurezza locali.
“Dai rapporti ricevuti presso i centri di comando, finora sono morte 45 persone nella provincia di Southern Highlands e altre 80 nella provincia di Hela”, ha detto un portavoce della polizia.
“Si prevede che la cifra possa aumentare dopo il conto finale”.
Secondo l’Unicef, circa 270mila persone, tra cui 125mila bambini, necessitano di assistenza umanitaria urgente.
Intanto continuano le scosse di assestamento, con gli abitanti che in alcune aree non vogliono tornare alle loro case per timore di ulteriori smottamenti.
“Stiamo ancora ricevendo scosse di assestamento; ne abbiamo avuta una la notte scorsa”, ha raccontato al Guardian Andreas Wuestenberg, abitante del villaggio di Pimiga, dove la gente si è rifugiata in un campo di emergenza.
“Le scorte si stanno rapidamente esaurendo. Non stiamo ancora assistendo a un forte aumento della malnutrizione nei bambini, ma ci aspettiamo che aumenti abbastanza rapidamente”.
“Una delle preoccupazioni principali è anche la diffusione delle malattie, specialmente in questo campo di fortuna”.
Wuestenberg ha detto che tre persone sono morte a Pimiga e che il 70 per cento delle case è stato distrutto.
L’Unicef, che ha lanciato un appello d’emergenza giovedì, sta fornendo assistenza umanitaria e medica, comprese le vaccinazioni e la creazione di spazi sicuri per donne e bambini.
La Papua Nuova Guinea, in particolare nella regione degli altipiani, conosce tassi estremamente elevati di violenza familiare e di genere.
Wuestenberg ha affermato che “in situazioni come questa, quando c’è molto stress, c’è spesso un aumento della violenza” ed è “probabile” che la situazione possa peggiorare.
I residenti dei villaggi vicino ai fiumi Tagari e Heggio sono stati invitati a trasferirsi in una zona più alta, a causa della possibile creazione di dighe “temporanee” a seguito delle frane.
“Queste sono chiamate dighe sismiche e il più grande pericolo è a valle dove l’acqua ha smesso di scorrere”, ha detto al National Brian Ward, della Mission Aviation Fellowship, che gestisce voli di soccorso nella zona.
“Le dighe potrebbero rompersi in qualsiasi momento causando una potente inondazione a valle”.
Il governo australiano ha impegnato fino a 1,2 milioni di dollari in aiuti umanitari, oltre ad aver messo a disposizione aerei e personale militare.
Anche le compagnie private, tra cui Ok Tedi e Oil Search, hanno messo in campo i propri mezzi.
Frances Devlin, membro del Comitato internazionale per la Croce rossa, ha affermato che la sua principale preoccupazione riguarda l’accesso all’acqua potabile.
“Le fonti tradizionali di acqua sono state interrotte”, ha dichiarato.
“Gran parte della popolazione era molto spaventata. Hanno paura di andare nelle loro case, hanno paura di andare a prendere da mangiare, hanno paura di andare a prendere l’acqua”, le parole di Devlin.
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