Prosegue la dura offensiva militare turca contro le milizie curde dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), iniziata giovedì 18 gennaio 2018 con una serie di attacchi aerei sferrati su oltre cento bersagli ad Afrin, a nord di Aleppo.
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Il 21 gennaio è partita anche l’avanzata via terra, condotta dalle truppe turche insieme all’Esercito Siriano Libero, forza armata ribelle in aperto conflitto col governo di Damasco e sostenuta dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
L’obiettivo dichiarato dell’operazione, denominata Olive Branch (ramoscello d’olivo), è ristabilire la pace nella zona siriana vicina al confine con la Turchia, cacciando coloro che Ankara ritiene essere i “terroristi” che la controllano al momento.
Con questo termine il governo di Ankara indica sia gli affiliati del sedicente Stato islamico sia i militanti YPG, che Erdogan considera legati al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
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Secondo le autorità turche, che mirano ad istituire in Siria una “zona sicura” estesa fino a 30 chilometri dal confine turco, il controllo curdo della regione minaccia la sicurezza nazionale.
Secondo quanto riportato dall’agenzia stampa turca Anadolu, finanziata dal governo, dalla roccaforte curda sarebbero partiti numerosi attacchi missilistici rivolti alle città turche collocate sul confine siriano.
Kilis in particolare sarebbe stata colpita da ben undici attacchi missilistici sferrati domenica 21 gennaio dalle milizie curde, che avrebbero ucciso un siriano e ferito più di quaranta civili. L’esercito turco avrebbe dunque reagito con raid aerei per distruggere le postazioni.
Nel frattempo le milizie curde hanno negato che le truppe turche siano arrivate ad Afrin.
“Tutti gli attacchi terrestri dell’esercito turco contro Afrin sono stati respinti e le truppe sono state costrette a ritirarsi”, ha detto Nouri Mahmoudi, portavoce del gruppo.
Le aree di controllo in Siria, nella mappa dell’emittente tedesca Deutsche Welle.
La particolare storia della Siria, cuore di un delicato intreccio di interessi, ha fatto sì che sulla vicenda si concentrasse una grande attenzione diplomatica.
Gli Stati Uniti avevano recentemente annunciato l’addestramento di una forza armata di circa 30mila unità per pattugliare i confini siriani in supporto delle milizie YPG, piano cui si erano opposte Russia, Turchia e Iran.
Ma la reazione agli attacchi è stata tiepida: mentre Washington ha espresso preoccupazione e invitato alla “moderazione” nel conflitto, il Segretario della Difesa Jamem Mattis ha affermato che il governo turco ha legittimi motivi di preoccupazione riguardo alle insurrezioni nei territori limitrofi.
L’attacco turco era stato annunciato da Erdogan a Stati Uniti e Russia, che hanno parlato di “misure da adottare per garantire la stabilità nel nord del paese”.
Queste misure sarebbero però considerate una grave violazione della sovranità della Siria da parte del regime di Bashar al-Assad, prezioso alleato di Mosca che ha accusato il regime turco di supportare le organizzazioni terroristiche della zona, senza però intervenire contro l’offensiva turca.
Nonostante le dure condanne agli attacchi, anche la Russia ha annunciato il ritiro delle sue truppe da Afrin, dove erano stanziate da oltre un anno proprio per evitare conflitti.
Nel frattempo Erdogan ha affermato che la campagna durerà poco, ma che ogni protesta sarà pagate “a caro prezzo” dai manifestanti, invitati a scendere in piazza del Partito democratico dei popoli (HDP) turco.
Bekir Bozdag, portavoce del governo turco, ha chiarito che l’attacco non è rivolto ai curdi, dichiarando che la popolazione civile siriana ha chiesto l’intervento turco per ripulire la zona dai terroristi ed essere salvata.
Secondo Bozdag, l’esercito darà “la massima importanza” alla tutela dei civili, ma teme che i soldati curdi possano usare i civili stessi come scudi umani.
Un comunicato dell’agenzia stampa statale turca Anadolu informa che la scorsa settimana 24 sospettati sono stati arrestati per la propaganda sui social media a favore dei terroristi curdi e contro l’operazione Olive Branch.
Di questi, quattro si sarebbero arresi, otto sarebbero stati trattenuti e dodici “neutralizzati”, termine utilizzato dal governo per indicare l’uccisione o la resa dei sospettati (stando a quanto scrive l’agenzia stessa).
In un’intervista a Radio Onda d’Urto,Salih Muslim, co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD) siriana, punta il dito contro l’indifferenza di Russia e Stati Uniti.
“Non ci sta aiutando nessuno”, racconta Muslim. “Se dovessimo appoggiarci pubblicamente agli Stati Uniti d’America, quella sarebbe la scusa per i Russi per farci la guerra.
“La Russia è dalla parte dei turchi, non si può contare su di loro, ci sono troppi interessi in gioco. Possiamo contare solo su noi stessi e sulla nostra gente. Faranno qui ad Afrin quello che hanno fatto a Kobane”.
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