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    Da operazione militare speciale a guerra: cosa cambia per la Russia

    Credit: AP Photo
    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 22 Mar. 2024 alle 18:30 Aggiornato il 22 Mar. 2024 alle 18:45

    A oltre due anni da quando il presidente russo Vladimir Putin annunciò l’inizio di una “operazione militare speciale” in Ucraina, il Cremlino ha dato l’annuncio che il conflitto, oggi, è diventato una guerra. Il cambio di narrativa è stato annunciato in un’intervista e poi ribadito in una nota successiva entrambe diffuse oggi, 22 marzo, da Dmitri Peskov, portavoce del presidente russo.

    A mandare in soffitta la controversa locuzione usata fino ad oggi da Mosca per descrivere le operazioni belliche in Ucraina è stato il crescente coinvolgimento dell’Occidente al fianco di Kiev, ha reso noto il portavoce del Cremlino in un’intervista al settimanale Argumenty i Fakty. Un cambio di terminologia che sicuramente non può rimanere fine a sé stesso.

    In molti si sono interrogati in questi due anni su perché Mosca si ostinasse a non usare la parola guerra per quella che invece una guerra era a tutti gli effetti, e una di queste è che probabilmente voleva mostrare ciò che stava avvenendo agli occhi dell’opinione pubblica come qualcosa di distante, che non dovesse distrarre i russi dalla loro vita di tutti i giorni. Non è un caso che, quando nel settembre del 2022 Putin ha annunciato una mobilitazione parziale, i cittadini chiamati alle armi sono stati scelti non tanto dalle grandi città, quanto da province più remote, continuando a cercare di mantenere la popolazione urbana più lontana possibile da quanto stava accadendo al fronte.

    Peskov ha chiarito che il fatto che quella in Ucraina è diventata a tutti gli effetti una guerra per la Russia, non lo sarà de iure, e non verranno applicate le misure giuridiche a riguardo. Tuttavia, il cambio di narrativa, pur non portando automaticamente a mobilitazioni generali o leggi marziali non può rappresentare un’iniziativa puramente lessicale finalizzata a sé stessa. Quello che ci si aspetta, è che adesso la società russa sia maggiormente coinvolta nello sforzo bellico che si sta modulando sempre di più come uno sforzo a medio-lungo termine. Proprio di questi giorni, infatti, è la notizia che la Russia sta formando nuove riserve militari in vista di una nuova offensiva in Ucraina la prossima estate, mentre nei giorni scorsi un rapporto dell’Institute for Study of War aveva spiegato come Mosca sia al lavoro per essere in grado di fronteggiare un potenziale conflitto con la NATO entro pochi anni. E non è un caso che molte dichiarazioni di leader occidentali abbiano lanciato l’allerta e invitato a investire il più possibile in materia di difesa.

    Proprio in questi giorni in cui si susseguono tali prese di posizione e in cui il presidente francese Emmanuel Macron ha esternato la possibilità di inviare truppe in Ucraina per sostenere Kiev, Peskov lancia il cambio di narrativa russo e usa come ragione della scelta lessicale il crescente coinvolgimento occidentale. C’è a questo punto da aspettarsi che lo scontro dialettico tra la Russia e l’occidente tutto si faccia più pesante. Sperando si limiti alla dialettica.

    Dalle parole di Peskov, tuttavia, emergono anche altri elementi interessanti. Una delle questioni che rendono molto difficile capire in che modo e a che costo la guerra in Ucraina possa raggiungere una conclusione è la relativa vaghezza degli obiettivi russi. Nei giorni intorno al 24 febbraio 2022, Putin e i vertici politici e militari russi hanno parlato di “demilitarizzazione” e “denazificazione” dell’Ucraina, obiettivi non facili da tradurre in termini concreti. I fatti successivi e lo svolgimento del conflitto, tuttavia, ci hanno fatto supporre alcuni dei possibili obiettivi di Mosca, territoriali come politici, ma non è chiaro fino a che punto. Nel settembre 2022, con una serie di referendum definiti come una farsa dal mondo occidentale, la Russia ha infatti annesso le oblast ucraine di Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhzhia, pur non controllandole completamente. Questo ha fatto supporre che Mosca sia andata in quei territori con l’obiettivo di rimanerci e di creare un continuum territoriale tra il Donbass e la Crimea, e non è chiaro se abbia ulteriori ambizioni a riguardo. Meno chiaro invece è cosa si aspetta e cosa sia disposta ad accettare sul futuro politico dell’Ucraina.

    Oggi, Peskov, ha dichiarato nell’intervista ad Argumenty i Fakti che Kiev ha ancora oggi il controllo di fatto di alcuni territori e che Mosca ha il dovere di liberare e proteggere i suoi nuovi territori. La frase, apparentemente criptica e priva di riferimenti specifici, fa tuttavia capire che si tratta delle quattro oblast annesse nel 2022. Se in questo caso non fa alcun riferimento a obiettivi o auspici circa il futuro politico dell’Ucraina, questo si può comprendere meglio in un altro passaggio, relativo stavolta alla Crimea. Peskov ha infatti dichiarato di non poter permettere l’esistenza di uno stato che si è detto disposto a usare qualsiasi mezzo per prendere il controllo della Crimea.

    Se nella parte legata alle oblast annesse nel 2022 Peskov non sembra fare riferimento al futuro di Kiev, fa esattamente l’opposto quando parla di Crimea, mostrando ancora una volta come per Mosca la penisola rappresenti una linea rossa. Nel parlare di come non possa accettare l’atteggiamento ucraino a riguardo, non parla allo stesso modo del Donbass e degli altri territori attualmente sotto il controllo militare russo. Pur in presenza di riferimenti precisi, la mancanza di un obiettivo esplicitato in modo chiaro lascia intendere che ad oggi la Russia voglia mantenere un obiettivo massimo nella guerra in Ucraina, forse in vista anche dell’offensiva in programma per la prossima estate e di quelli che potrebbero eventualmente essere i risultati sul campo.

    Negli ultimi giorni, Mosca ha lanciato una serie di attacchi aerei su vasta scala su varie città dell’Ucraina e molte infrastrutture energetiche, a partire dalla diga sul fiume Dnipro, approfittando della scarsità di missili antiaerei attualmente negli arsenali di Kiev. Proprio per questo, Zelensky ha insistito chiedendo nuovamente agli alleati occidentali l’invio di armi antiaeree in primis, anche in vista della possibile nuova offensiva russa dei prossimi mesi, e mentre l’Europa studia nuovi strumenti per sostenere l’Ucraina e gli Stati Uniti valutano il da farsi tra impasse politici e la spada di Damocle del voto di novembre, l’impressione è che il livello dello scontro si stia alzando e rappresenti sempre meno una questione esclusivamente tra Russia e Ucraina.

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