La crisi del debito pubblico ha messo in evidenza le crepe nell’apparato dell’Ue e diffuso un forte euroscetticismo. Il 23 giugno i cittadini britannici voteranno per la permanenza del loro paese nell’Unione, ma molti altri stati e partiti nel continente accarezzano l’idea di un simile referendum.
Brexit potrebbe scatenare un effetto domino su tutta l’Europa: c’è la possibilità che, sulla scia del Regno Unito, alcuni membri valutino di rescindere gli accordi con Bruxelles oppure che spingano perché le autorità europee accolgano le loro richieste individuali, trasformando così l’Unione in un sistema “à la carte”, proprio come al ristorante.
Ecco una breve panoramica di chi e perché potrebbe considerare un’uscita dall’Ue.
Francia: possiede una fra le più alte percentuali di euroscettici, circa il 61 per cento della popolazione. Il principale sostenitore politico di un’eventuale Frexit è il Front National di Marine Le Pen, partito di estrema destra con un seguito sempre maggiore. I suoi esponenti si dichiarano intenzionati a riacquisire una completa sovranità territoriale per la Francia, in cui le decisioni vengano prese a Parigi piuttosto che a Bruxelles.
Ungheria: i cittadini sono per la maggior parte (61 per cento) favorevoli all’Unione, che porta notevoli vantaggi finanziari e non al paese. Nonostante questo, il primo ministro Orban vuole indire un referendum che, sebbene diverso dal categorico dentro-o-fuori britannico, avrà il potenziale di danneggiare le autorità di Bruxelles. il premier ungherese critica l’Europa per i suoi eccessivi controlli sui governi nazionali e l’adozione di politiche centralizzate, anche se non approvate da tutti i membri. Un esempio sono le leggi di libera immigrazione, a cui l’Ungheria si è opposta nel 2015 con il famigerato muro costruito per bloccare il flusso di rifugiati.
Danimarca: nel dicembre del 2015 i cittadini, tramite un referendum, si sono espressi contro l’espansione dei poteri dell’Ue sul governo danese. Oggi il paese chiede maggiori controlli sull’immigrazione.
Svezia: come il Regno Unito, non fa parte della moneta unica e vorrebbe una politica più severa sui migranti, visto che negli ultimi anni non è riuscita a integrarli con successo nella sua società, a causa dei grandi numeri.
Olanda: l’opposizione all’Unione è qui guidata da un partito di estrema destra, il Partito della Libertà (Pvv), con a capo Geert Wilders, che vorrebbe indire un referendum che offra agli olandesi la possibilità di uscire dall’Unione. I principali vantaggi consisterebbero in maggiori controlli sull’immigrazione e la prevenzione di un’eccessiva islamizzazione del paese.
Grecia: il 71 per cento della popolazione si dichiara euroscettico, quota che non sorprende viste le aspre negoziazioni con la Troika degli ultimi anni. Grexit appare però improbabile, visto che al momento l’Ue puntella i precari pilastri su cui poggia la sopravvivenza economica dello stato.
Solo una piccola minoranza degli europei sembra a favore di un ampliamento delle autorità di Bruxelles sui governi nazionali. In particolare, l’opinione pubblica vi risulta avversa in Regno Unito (coerentemente con il referendum che si svolge oggi), Grecia e Svezia. In Italia, i pareri sono contrastanti: da un lato, con maggiori poteri Bruxelles potrebbe imporre agli altri membri di fare la loro parte nell’accogliere i rifugiati e l’Italia riceverebbe così più aiuti per gestire l’emergenza del Mediterraneo. Dall’altro, un governo nazionale più indipendente potrebbe gestire il budget in maniera flessibile, senza sottostare come ora ai dettati dell’Unione.
(il grafico qui sotto riassume il punto di vista dell’opinione pubblica sulla divisione dei poteri tra Bruxelles e le singole capitali europee. Elaborazione di Giulia Morpurgo su dati Pew Research Center)
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