Lo so che l’idea è impopolare. Anzi peggio. Tuttavia, è necessario dare voce a quello che molti pensano ma pochissimi osano dire. Disputare i Giochi Olimpici di Tokyo questa estate, ovviamente senza pubblico, quando il mondo starà ancora combattendo la pandemia, non ha alcun senso. Sarebbe una operazione esclusivamente commerciale in un contesto di dubbio gusto. Attenzione, io non sto mettendo in dubbio la fattibilità della manifestazione. Bolle e protocolli ne assicurerebbero il corretto svolgimento. Io, invece, sto ponendo una questione di opportunità morale che trae origine proprio dalla tradizione di questo evento, l’unico autenticamente globale nella storia del genere umano.
Le Olimpiadi hanno quasi 28 secoli di vita, la prima edizione di cui si ha traccia si è svolta nel 776 avanti Cristo. Da allora, per più di un millennio, esse scandivano il tempo nella culla della cultura occidentale al punto che persino le guerre venivano sospese nel corso del loro svolgimento. Non a caso, i giochi erano definiti agones, con un termine che tradisce una connotazione in qualche modo bellica, in quanto vennero concepiti come la possibilità di “fare la guerra ma senza morti“. Ci volle un atto d’inaudita crudeltà, la strage di Tessalonica del 390 dopo Cristo, perpetrata a danno dei pagani dall’imperatore cristiano Teodosio, a porre fine a questa pacifica celebrazione quadriennale.
Da quando il Barone Pierre de Coubertin riuscì nell’ardua impresa di ripristinare i giochi nel 1896, doverosamente facendo svolgere la prima edizione ad Atene, questi si sono svolti con cadenza quadriennale, arricchendosi a partire dal 1924 a Chamonix anche di una versione invernale. Nel frattempo, tuttavia, l’arrivo della Grande Guerra aveva fatto emergere un triste dato: le edizioni moderne dei giochi non avevano il potere taumaturgico di quelle antiche ossia la capacità di portare tregua nelle guerre in corso. Questo ha causato l’annullamento nel 1916 della rassegna che avrebbe dovuto disputarsi a Berlino, e, successivamente, a causa dell’ultimo conflitto mondiale, nel 1940, dell’edizione che, ironia della sorte, si sarebbe dovuta svolgere proprio a Tokyo. Londra, sede designata per il 1944, ospitò effettivamente i giochi quattro anni dopo.
Negli ultimi 50 anni, alle Olimpiadi non sono state risparmiate le piaghe che hanno colpito la società civile. Hanno conosciuto il terrorismo sotto forma dell’attentato palestinese a Monaco di Baviera nel 1972. Poi sono cominciati i boicottaggi politici. A Montreal nel 1976 i paesi africani non hanno partecipato per protesta contro la Nuova Zelanda che intratteneva rapporti con il regime segregazionista sudafricano. Poi è toccato alle due superpotenze, USA ed URSS, che hanno mandato in onda i titoli di coda della guerra fredda, disertando reciprocamente le edizioni organizzate a casa dell’altra, Mosca 1980 e Los Angeles 1984 nello specifico. Infine, c’è stata l’assenza di Cuba a Seoul nel 1988.
L’arrivo alla presidenza del CIO nel 1980 dello spagnolo Juan Antonio Samaranch ha segnato un deciso cambio di passo nella storia del massimo evento sportivo globale. A lui va dato merito per aver chiuso l’era dei boicottaggi politici con una splendida edizione ecumenica dei giochi svoltisi nel 1992 nella sua Barcellona. Il grande di Spagna, allo stesso tempo, ha impresso una brusca accelerazione al movimento olimpico, comprendendo come, per sopravvivere, le Olimpiadi dovessero adeguarsi ai tempi, prima di tutto sotto il profilo economico.
Il primo segnale di questa svolta ha avuto luogo nel 1989 con l’assegnazione delle Olimpiadi estive del 1996, l’edizione celebrativa del centenario della rinascita dei giochi. La scelta di Atlanta in preferenza ad Atene, dove tutto era risorto un secolo prima, ha certificato in modo inequivocabile il cambio di rotta. A generare questa decisione è stato il lobbying concertato di un potentissimo triumvirato che ha sede nella città della Georgia, formato dalla Coca Cola, la bibita gassata più popolare al mondo, da Delta Airlines, colosso dei trasporti aerei, e dalla rete televisiva CNN. In contemporanea, ma nella stessa direzione della valorizzazione commerciale dei giochi, aveva luogo lo sdoppiamento temporale tra le edizioni estive e quelle invernali così da evitare che, disputandosi entrambi nell’arco di sei mesi, si togliessero visibilità a vicenda.
Sotto la presidenza di Samaranch e del suo successore, il medico belga Jacques Rogge, il CIO si è trasformato in un ente in cui i valori sportivi si sono dovuti sottomettere alle esigenze di bilancio. Nulla di sbagliato in tutto ciò, ma certamente un cambiamento radicale rispetto ai valori propugnati dal Barone de Coubertin che faceva dello spirito olimpico l’essenza stessa dell’esistenza dei giochi, divenuti un immenso affare commerciale ancorché allietato dalla presenza di spettatori provenienti da ogni angolo del globo a regalare alla kermesse i connotati della festa.
Venendo ad oggi, a questo 2021 che noi tutti speriamo sia meno travagliato dell’anno scorso, mi preme sottolineare che le due guerre mondiali, quelle che hanno fermato in precedenza i giochi, erano globali di nome molto più che di fatto. La Grande Guerra fu combattuta quasi esclusivamente in Europa mentre l’ultimo conflitto coinvolse anche Asia ed Oceano Pacifico ma non toccò l’Africa e le due Americhe con l’Australia appena sfiorata. Al contrario, il COVID-19 non ha risparmiato nessuno angolo della Terra, permettendoci di prendere coscienza dell’esistenza di luoghi omessi pure dallo studio della geografia a scuola. Questa pandemia, per dirla tutta, è il primo vero evento globale di cui si ha memoria nella storia dell’umanità.
In questo contesto, dare luogo a Tokyo 2020 senza pubblico, con il massimo rispetto per tutti coloro che hanno speso anni per prepararsi, significherebbe mandare un messaggio sbagliato. Fingere che quanto sta avvenendo non cambierà il nostro modo di vivere negli anni a venire equivarrebbe a contestare l’esistenza della forza di gravità. Sarebbe una forma di negazionismo subdolo non meno pericoloso di quello espresso da coloro che hanno minimizzato l’esistenza del virus. L’assegnazione a Tokyo della edizione del 2032, sul modello di quanto avvenuto a Londra negli anni ’40, sarebbe una misura di sano buonsenso che trasmetterebbe l’aspettativa d’imminenti tempi migliori. La Bibbia ci insegna che c’è un tempo per ogni cosa, compresi i festeggiamenti di cui le Olimpiadi sono la massima celebrazione in quanto vedono tutta l’umanità unita nella gioia. Ora, tuttavia, non è il momento per festeggiare. Ce ne sarà tempo in seguito.
Leggi l'articolo originale su TPI.it