La Russia possiede “materiali” che dimostrerebbero un coinvolgimento dell’Occidente nelle esplosioni che hanno provocato una fuoriuscita di gas da Nord Stream 1 e 2. Lo ha dichiarato il capo dei servizi d’intelligence esterni russi (Svr), Sergei Naryshkin, citato dall’agenzia Tass.
“Abbiamo già alcuni materiali che indicano il coinvolgimento occidentale nell’organizzazione e nell’attuazione di questo atto terroristico”, ha affermato. Naryshkin ha sottolineato che l’Occidente “sta facendo di tutto per nascondere i veri autori e organizzatori di questo atto terroristico internazionale”.
Nel frattempo, dopo la fuga di gas dai gasdotti Nord Stream 1 e 2, il livello di metano su Svezia e Norvegia è a livelli record, riferiscono i media dei due Paesi, che parlano di “grande nuvola”. Secondo i calcoli di Stephen Matthew Platt, scienziato del clima presso l’istituto norvegese di ricerca sull’aria Nilu, si tratta di circa 40mila tonnellate di metano rilasciate dal sospetto sabotaggio: “Le emissioni corrispondono al doppio delle emissioni annuali di metano dell’industria petrolifera e del gas in Norvegia. Sono livelli record”.
L’ultima indicazione degli esperti è che il gas si stia muovendo verso nord e potrebbe arrivare sopra le isole Svalbard in un paio di giorni. Platt sottolinea tuttavia che l’elevata concentrazione di metano non rappresenta un grave pericolo per le persone: “Non è pericoloso per l’uomo. Non è un gas infiammabile in queste quantità. È l’effetto climatico di cui invece stiamo parlando”, chiarisce.
Dovrebbe, dunque, arrivare in giornata sull’Italia la coda della nube di metano che si è formata a seguito della fuga di gas del 27 settembre dai gasdotti Nord Stream 1 e 2, stimata nell’ultimo aggiornamento in 80mila tonnellate.
Non c’è nessun pericolo né di inquinamento né per la salute dei cittadini, dato che la nube si è molto diluita in atmosfera ed essendo il metano un gas climalterante (che incide sul riscaldamento globale), non inquinante. Lo spiega Bernardo Gozzini, direttore del Consorzio Lamma-Cnr, sui dati del rapporto dell’Istituto Norvegese per la ricerca sull’aria (Nilu), in base ai quali la nube si è divisa in 2 parti.