Per essere realmente soddisfatti nella vita, non dovreste affatto inseguire spasmodicamente le vostre passioni lavorative, qualsiasi esse siano.
Piuttosto, è importante individuare una carriera che sia funzionale e utile per gli altri, in grado cioè di cambiare le vite altrui. Il che non vuol dire necessariamente fare volontariato in Africa o chissà cosa, ma più semplicemente agire sapendo di fare qualcosa di buono per gli altri – sotto tutti i punti di vista – e quindi, di conseguenza, anche per se stessi.
Ciò arricchirà le vite degli altri e anche la nostra. In altre parole, l’idea secondo cui nella propria vita sarebbe fondamentale seguire le proprie passioni a tutti i costi pur di arrivare ad avere una vita lavorativa soddisfacente è in realtà molto sopravvalutata, secondo quanto hanno argomentato in maniera molto simile Ben Todd, co-fondatore di 80,000 Hours, servizio di consulenza alternativo per il lavoro, e Jess Whittlestone sul sito americano Quartz.
La questione della soddisfazione rispetto al proprio lavoro è centrale nell’esistenza di pressoché chiunque, visto che mediamente sono 80mila le ore della nostra vita che passiamo a lavorare, e che dunque una buona parte della nostra soddisfazione generale dipenda da questo.
Non si tratta solo di una questione privata dei singoli lavoratori: un’economia funzionante è fortemente influenzata dal grado di coinvolgimento e motivazione che le persone hanno nella propria occupazione.
Solitamente i giovani laureati ricevono due tipi di consigli quando si trovano di fronte alle scelte che riguardano il proprio futuro: optare per un lavoro aziendale magari poco entusiasmante ma ben pagato, oppure capire quali siano le proprie passioni e seguirle.
Il problema è che, soprattutto intorno ai vent’anni, non tutti hanno ben chiare quali siano le proprie passioni, e si può rischiare di perdere tempo ad individuarle senza nel frattempo arrivare a nulla di concreto. Inoltre, anche se si dispone di una passione ben definita, non è detto che questa possa garantire un posto di lavoro, per non parlare di un lavoro in cui si possa eccellere e che si possa fare con piacere.
È per esempio un dato di fatto che esistano più giovani laureati appassionati di sport e di arte di quanti il mercato del lavoro possa effettivamente impiegare.
C’è inoltre un problema di definizione delle “passioni”: queste vengono considerate come radicate dentro di noi e immutabili, ma come dimostrano le storie di molti lavoratori di successo nei più diversi campi, in molti si sono appassionati solo tardi a qualche campo per il quale magari non credevano di coltivare alcun interesse.
Spesso, dunque, la passione nasce nel momento in cui ci si rende conto di stare facendo la propria parte in qualcosa di significativo.
Il professor Adam Grant, che si occupa di economia alla Wharton School della University of Pennsylvania, sostiene per esempio che c’è una cosa fondamentale che tutti i lavori insoddisfacenti hanno in comune: non fanno una differenza importante per le vite degli altri.
Diverse ricerche, secondo lo studioso, hanno nel corso del tempo evidenziato l’importanza dell’idea che il proprio lavoro contribuisca a qualcosa che vada oltre se stessi, individuando quindi nel contributo positivo alle vite altrui una fonte di appagamento.
Si era già scoperto che l’insoddisfazione rispetto alla propria occupazione poteva essere ricondotta a questi fattori: mancanza di autonomia, di varietà, di sfide, di apprezzamento. Ma non basta: lavori apparentemente buoni secondo questi criteri, come direttore di telegiornale, analista fiscale, animatore grafico, sono spesso considerati comunque insoddisfacenti.
Il problema starebbe nell’assenza di un impatto significativo e duraturo sugli altri, che invece è presente in occupazioni magari meno blasonate ma fondamentali, come insegnante per adulti analfabeti, caposquadra dei vigili del fuoco, ostetrica, consulente per le dipendenze.
Anche lo psicologo Martin Seligman, fondatore del campo della psicologia positiva, sostiene che la felicità che otteniamo dall’aiutare gli altri duri più a lungo della felicità ottenuta dal fare qualcosa per noi stessi.
Un buon modo per scegliere la propria carriera lavorativa sarebbe quindi cercare di capire quali problemi altrui si possa contribuire a risolvere, siano essi su scala personale o globale, e in seguito cercare di sviluppare delle competenze flessibili per avere un impatto nel corso del tempo, senza pretendere di farlo da un giorno all’altro.
Quindi, se non tutti possono fare quello che li appassiona, quasi tutti possono fare qualcosa di prezioso per gli altri. Più che “seguire i soldi” o “seguire le proprie passioni”, sarebbe quindi utile “seguire ciò che è prezioso per gli altri”.