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    Non gli ebrei, il colonialismo

    Se Israele viene percepito con ostilità non è in quanto stato degli ebrei, ma piuttosto quale ultimo stato coloniale d'occidente

    Di Zeev Sternhell
    Pubblicato il 13 Ott. 2014 alle 18:20 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:26

    La maggior parte degli israeliani, soprattutto quelli di destra e di centro, trova molto più comodo credere che l’attuale ostilità nei confronti di Israele sia ancorata nell’antisemitismo.

    Sebbene l’antisemitismo non sia scomparso nel 1945 – così come in Europa non sono stati sradicati i movimenti razzisti e nazionalisti estremi -, fino agli anni Settanta non c’era nazione più stimata e ammirata di Israele. Addirittura i palestinesi erano considerati rifugiati politici che, da soli, si assumevano la responsabilità della propria sorte.

    Le critiche iniziarono quando fu evidente che Israele non aveva intenzione di ritirarsi dalla Cisgiordania. Poiché l’occupazione si spinse in profondità, e poiché nei territori fu instaurato un regime coloniale, l’opposizione crebbe e divenne ostilità, finché sulla scia delle operazioni distruttrici nella Striscia di Gaza non si è trasformata in quell’odio ormai ampiamente penetrato in Europa.

    A tutto ciò va aggiunto il fatto che in Europa occidentale la popolazione musulmana è in continua crescita e lì gioca un ruolo sempre più importante nella società, in politica e nelle università.

    Non c’è dubbio che le tendenze antisemite abbiano nutrito il sentimento anti-Israele. Come, allo stesso modo, l’ostilità nei confronti delle politiche oppressive di Israele ha nutrito l’antisemitismo e l’antipatia verso gli ebrei. Chiunque voglia educare la comunità ebraica a essere sempre e comunque pro-Israele deve comprendere che tutto ciò ha un prezzo. Nella maggior parte dei casi l’ostilità non è diretta verso Israele in quanto stato degli ebrei, ma piuttosto quale ultimo stato coloniale d’occidente.

    La maggior parte degli europei non mette in dubbio il diritto degli ebrei a uno stato indipendente, ma si schiera con forza contro una realtà in cui teniamo masse di persone sotto occupazione, calpestando consapevolmente i loro diritti fondamentali.

    La destra sta installando gruppi di ebrei in Cisgiordania in virtù di una rivendicazione storica, la cui origine risiede in una promessa divina: davvero esiste ancora qualcuno che considera la promessa fatta ai nostri antenati una giustificazione valida per negare i diritti umani dei palestinesi? Ogni persona razionale vede tali rivendicazioni come nient’altro che un cinico alibi per il desiderio di annettere la maggior parte dei territori, se non tutti.

    Per quanto riguarda la Striscia di Gaza, ormai percepita come una grande prigione, non resta più nulla da dire. La distruzione e la rovina hanno sradicato dalla coscienza comune il fatto che, all’inizio, l’operazione margine protettivo di luglio fosse una risposta giustificata all’indiscriminato lancio di razzi palestinese.

    Nel momento in cui l’operazione si è prolungata e l’obiettivo è cambiato, e nel momento in cui i corpi hanno cominciato a impilarsi l’uno sull’altro ed è stata sempre più chiara l’incapacità di Hamas di rispondere efficacemente al potere militare di Israele, la questione circa gli attacchi israeliani e la loro attinenza ai criteri della legge internazionale ha smesso di suscitare interesse: per molte persone, infatti, gli attacchi erano solo la violenta manifestazione di uno sprezzo per la vita umana spaventoso.

    Col tempo è aumentato l’odio verso il rifiuto da parte di Israele a riconoscere il diritto palestinese ad avere un proprio stato. Un fatto che rappresenta quanto non siano stati compresi i fallimentari discorsi di pace del segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry. La destra israeliana considera gli ebrei come gli unici padroni della terra.

    Tuttavia quest’uso della forza bruta risveglia il disgusto del mondo occidentale. L’idea che tutta la terra appartenga agli ebrei e che possano quindi rubare ai palestinesi, e annettere Gerusalemme est, insieme ad altri segmenti di Cisgiordania, è indice di una nazione il cui popolo si sente padrone – e, oggi, è totalmente inaccettabile.

    L’élite politica occidentale non si sta dichiarando apertamente contraria al colonialismo di Israele, per paura di incoraggiare il mostro antisemita. Ma nelle università e nelle scuole, nei media e nei social network, già si dice apertamente: il passato ebreo non può giustificare le crudeltà nel presente palestinese.

    Zeev Sternhell è uno storico israeliano di origine polacca. Il suo articolo è stato pubblicato su Haaretz.

    (A cura di Giovanna Girardi)

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