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    Cosa succede se non si raggiunge un accordo sulla Brexit: il temuto scenario del No deal

    Credit: WIktor Szymanowicz/NurPhoto
    Di Laura Melissari
    Pubblicato il 2 Apr. 2019 alle 08:01 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:57

    L’accordo siglato tra Theresa May e i leader dell’Ue è stato bocciato dal parlamento britannico 3 volte, l’ultima delle quali il 29 marzo. Al momento la data ufficiale dell’uscita del Regno Unito dall’Ue è il 12 aprile, se non dovessero cambiare le cose, e non è affatto escluso che nel frattempo cambino.

    Il Consiglio europeo di marzo aveva concesso la proroga dal 29 marzo al 12 aprile, per consentire alla May di trovare un consenso intorno al suo piano, ma al momento non è stato così. Intanto, è stato convocato un nuovo vertice straordinario per il 10 aprile.

    Al momento, visto il poco tempo a disposizione e l’opposizione di Westminster all’accordo di May, lo scenario più probabile, e più temuto sia dalla premier che dalle opposizioni è il cosiddetto “No deal”, cioè l’hard Brexit, l’uscita dall’Unione europea senza aver negoziato alcun accordo specifico.

    Se il parlamento britannico non si metterà d’accordo, a mezzanotte del 12 aprile 2019, il Regno Unito sarà fuori dall’Ue. I “falchi” del partito conservatore sono a favore di questa opzione, che secondo loro è quella che rispecchia di più la volontà popolare uscita dal referendum del 23 giugno. Lo scenario del “no deal” in sostanza pone il Regno Unito sul piano di qualsiasi altro paese terzo all’Ue.

    Lo scenario preoccupa però gli oppositori della Brexit, che vedono un futuro “catastrofico” fatto di crisi economica, calo di Pil, caos e molto altro. Il Pil dovrebbe calare dell’8 per cento, si rischia il raddoppio della disoccupazione e la svalutazione della sterlina, oltre al ripristino delle dogane.

    A partire dalle 0.00 del 12 aprile, le leggi dell’Unione europea smetteranno immediatamente di avere valore nei confronti del paese e all’interno.

    I cittadini europei che vivono nel Regno Unito sarebbero in un paese extracomunitario, e dunque non godrebbero più dello status giuridico attuale. Allo stesso tempo i cittadini britannici residenti all’estero, in uno degli altri 27 paesi Ue, sarebbero extracomunitari. Con l’hard Brexit, gli accordi di libera circolazione delle merci e delle persone, attualmente in vigore all’interno dei paesi membri, sarebbero immediatamente privi di efficacia.

    I confini tra Regno Unito e altri paesi Ue (quindi Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda e Spagna e Gibilterra) diventerebbero di nuovo “attivi” e soggetti a controlli sia delle persone che delle merci.

    In caso di No deal, vi sarebbero conseguenze importanti anche nel campo del commercio. Il Regno Unito non farebbe più parte del mercato unico europeo, all’interno del quale vige la libertà di scambio. Le tariffe della merce in entrata e uscita sarebbero quindi diverse da quelle dei paesi membri.

    Il Regno Unito e l’Unione europea finirebbero quindi, in caso di no-deal, per riscuotere le stesse tariffe doganali sulle esportazioni della controparte come fanno al momento con paesi come gli Stati Uniti, il Brasile o l’India, dove non sono presenti accordi – come citato in precedenza – di libero scambio e unione doganale.

    Lo scenario del No deal apre a conseguenze anche sul piano pratico, come ad esempio il caos alla frontiera, dove si formerebbero code di tir in attesa dei controlli alle frontiere. La frontiera più a rischio è quella del Canale della Manica, dove si prevedono code di oltre 20 chilometri. Le merci in entrata e in uscita potrebbero quindi rimanere bloccate per giorni.

    Per far sì che il caos non regni sovrano, anche in caso di no deal, il governo e l’Ue dovranno mettere in pratica accordi singoli che regolamentino singoli settori e mitighino gli effetti di una hard Brexit.

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