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    Esclusivo: Massacro Nigeria, ex candidato presidente a TPI: “L’esercito ha sparato addosso ai manifestanti senza motivo”

    credit: Ansa foto

    TPI intervista in esclusiva l’attivista nigeriano per i diritti umani, Omoyele Sowore, tra i protagonisti del movimento pacifico contro la brutalità della polizia e la classe dirigente corrotta del Paese, che denuncia una risposta del governo fatta solo di pallottole

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 23 Ott. 2020 alle 07:19 Aggiornato il 24 Ott. 2020 alle 14:09

    “Qualcuno ha pensato che l’attenzione internazionale fosse rivolta altrove e che nessuno avrebbe fatto particolare attenzione a quanto accadeva in Nigeria”. Ne è convinto l’attivista per i diritti umani, Omoyele Sowore, ex candidato presidentee voce ascoltata del movimento per la democrazia, che non era presente al massacro di Lagos ma è stato più volte arrestato dalle autorità per aver organizzato manifestazioni contro il governo. Sowore ha raccontato in esclusiva a TPI le radici e le prospettive future di quanto sta accadendo in Nigeria, dove l’esercito è arrivato a sparare su manifestanti inermi, scesi in piazza proprio contro la violenza della polizia. “Grazie ai social, il mondo ha visto con i propri occhi la brutalità della reazione del governo”.

    Il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, che la scorsa settimana aveva sciolto la contestatissima unità speciale SARS della polizia, si è detto “profondamente addolorato” per l’uccisione di vittime innocenti a Lagos ma, secondo Sowore, questo potrebbe non bastare a calmare le piazze perché le radici della protesta sono molto più profonde e inserite in un panorama più ampio, addirittura transnazionale. “Il movimento #EndSARS si muove nel solco dell’attivismo per Black Lives Matter e non è nato oggi ma risale al 2017”, ricorda l’attivista con doppia cittadinanza statunitense. “La protesta nasce sui social per mettere fine alla brutalità della Special Anti-Robbery Squad (SARS), un’unità particolare della polizia, istituita nel 1992 per far fronte alle frequenti rapine a mano armata, che allora come oggi costituivano un grave problema in Nigeria”.

    “Presto questa unità si è trasformata in un problema con agenti responsabili di omicidi, torture, trattamenti degradanti degli arrestati, corruzione, estorsioni e persino furti ai danni di vittime di reato che avrebbero dovuto proteggere: negli ultimi anni poi alcuni suoi membri hanno cominciato a prendere di mira un certo tipo di persone, vestite in maniera eccentrica, con i dread o i capelli tinti o in possesso di computer, iPhone o alla guida di belle macchine”, spiega Sowore. “Nonostante questa deriva, gli omicidi non si sono certo fermati e allora la popolazione, vessata, ha cominciato a dire basta e continua a protestare”.

    Le manifestazioni infatti non si sono fermate dopo la scelta del governo di Abuja di smobilitare la SARS, anzi. La denuncia di infiltrazioni a scopo provocatorio all’interno dei cortei, l’assalto a stazioni di polizia, carceri e persino aeroporti e la sfida dei dimostranti al coprifuoco imposto a Lagos ha provocato un aumento delle violenze, sfociate nel massacro di Lekki, consumato nella serata del 20 ottobre nella capitale economica nigeriana. “Le persone scese in strada negli ultimi mesi in Nigeria non vogliono di certo fermarsi allo scioglimento di un corpo di polizia: la protesta, la rabbia e le manifestazioni, affollate da molti giovani, si concentrano contro un intero sistema di corruzione, le inefficienze dei servizi di base, la disoccupazione dilagante e la mancanza di reali garanzie democratiche”, sottolinea il fondatore del progetto d’informazione Sahara Reporters.

    Non a caso, il presidente Buhari ha lanciato un appello alla calma, in particolare ai giovani, ma potrebbe essere tardi. “I fiumi di dimostranti riversatisi sulle strade rappresentano uno sfogo della rabbia repressa per anni contro il governo del presidente Muhammadu Buhari e contro una classe politica che non si è dimostrata credibile e che non considerano capace di agire nel loro interesse”, afferma Sowore, secondo cui “in un Paese dove 70 milioni di persone su quasi 200 sono giovani, i primi a scendere in piazza in questi mesi, era solo questione di tempo perché la protesta scoppiasse”.

    Ma perché la situazione è precipitata proprio ora? Secondo l’attivista nigeriano, l’insorgere delle proteste si inserisce in una particolare congiuntura, ancora una volta non estranea al panorama internazionale. “Innanzitutto, ricordo la crescente consapevolezza scaturita a livello globale sulla necessità di contrastare la brutalità della polizia, ancora una volta a partire dal ritorno alla ribalta del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti: le persone in Nigeria si sono rese conto che non era un problema lontano ed estraneo alle loro vite, che riguardava soltanto l’America, ma hanno scelto di combatterlo nel proprio Paese, scendendo in piazza”.

    Nonostante l’ispirazione transnazionale, il movimento attivo nel Paese africano è completamente immerso nella realtà locale. “Va sempre ricordato il sostrato di insoddisfazione e il contesto politico nazionale da cui è scaturita la protesta: i manifestanti non sfilavano solo per sciogliere un’unità corrotta della polizia ma contro lo stesso governo, che trova opposizione in quasi tutte le fasce della popolazione nigeriana, dove nessuno può dirsi davvero soddisfatto di questa amministrazione”, ribadisce Sowore. “Il movimento #EndSARS va letto in questo modo: è una via trovata dai giovani per mostrare la propria insoddisfazione verso l’attuale classe dirigente del Paese”.

    Le autorità hanno però scelto di reagire in maniera scomposta. “Sfortunatamente non è la prima volta che le forze dell’ordine sparano sui manifestanti in Nigeria. Anche negli anni Novanta, quando ero un giovane attivista universitario, la polizia sparava sui dimostranti ma questa volta c’è qualcosa di diverso”, osserva l’ex candidato presidente, arrivato quinto alle elezioni del febbraio dello scorso anno. “Intanto a intervenire a Lekki è stato l’esercito e non la polizia e stavolta i manifestanti erano impegnati in un sit-in pacifico, seduti e non c’erano scontri, eppure è stato ordinato di sparare”. E non è finita: secondo l’attivista, “le violenze sono continuate anche dopo”. “Abbiamo le prove di altre violenze nei quartieri vicini a Lekki mentre da allora altri omicidi sono stati compiuti nel resto del Paese”.

    Secondo Amnesty International, che ha chiesto l’apertura di un’inchiesta indipendente, almeno 12 manifestanti sono rimasti uccisi e centinaia sono stati feriti ad Alausa e Lekki per l’intervento dei militari. “Molte persone sono state uccise: di nuovo non si tratta della prima volta ma l’amplificazione di quanto accaduto, resa possibile dai social media, ha portato il problema alla ribalta internazionale, cosa che in passato non succedeva”, ha rimarcato Sowore. “Quelle terribili immagini, divulgate su Internet in diretta, hanno fatto un’enorme differenza rispetto ad altre situazioni seppur simili perché stavolta il mondo era lì a guardare”.

    Le violenze avvenute a Lagos hanno scatenato un’ondata di indignazione internazionale: il ministero degli Esteri del Canada, l’ex presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, l’ex premier del Kenya, Raila Odinga, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, e l’ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, sono solo alcune delle personalità intervenute a sostegno dei diritti dei manifestanti nigeriani. “Purtroppo non credo che la pur attesa reazione internazionale possa avere qualche effetto sul governo nigeriano, che negli anni ha imparato a sopravvivere persino alle sanzioni e alle pressioni dall’esterno”, afferma l’attivista per i diritti umani, che denuncia la terribile lucidità delle azioni delle autorità nigeriane.

    “Ritengo che la reazione violenta delle autorità sia collegata alle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti: qualcuno ha pensato che l’attenzione internazionale fosse rivolta altrove e che nessuno avrebbe fatto particolare attenzione a quanto accadeva in Nigeria”, accusa Sowore. “E’ stato un calcolo sbagliato, proprio perché stavolta i social media hanno permesso a tutti di vedere con i propri occhi la brutalità di questo governo”.

    Quello che salta agli occhi è soprattutto la determinazione dei dimostranti. “Le proteste non sono certo finite, i manifestanti sono ancora in strada, in tutto il Paese, ed è straordinario: si tratta di un movimento di natura spontanea e senza alcuna leadership, il che non vuol dire che sia disorganizzato”, osserva l’attivista per la democrazia, che lo scorso anno ha passato ben quattro mesi in carcere dopo aver convocato online una protesta contro il governo di Buhari. “Io stesso ho organizzato alcune manifestazioni nella capitale Abuja ma non sono certo l’unico in Nigeria. E’ la rabbia di una popolazione che si sente trascurata, in particolare i giovani, ad alimentare la protesta e a favorirne la spontanea moltiplicazione, nonostante le violenze e gli arresti”.

    L’appello di Buhari alla calma, dopo l’emergere di malumori persino tra singoli militari per la gestione delle proteste, potrebbe non rivelarsi sufficiente a fermare la piazza ma denota certamente il ruolo di primo piano assunto dal movimento. “Ogni protesta di natura sociale implica un’agenda politica o economica, una serie di temi alla base dell’insoddisfazione che hanno prodotto le stesse manifestazioni, ma non credo che tutto questo si trasformerà in un soggetto politico classico”, conclude Sowore, secondo cui il movimento è comunque destinato a lasciare il segno. “Sicuramente la crescente consapevolezza della situazione e dei problemi che affliggono la Nigeria, in particolare tra i più giovani, produrrà degli effetti politici a lungo termine”.

    Intanto, dopo oltre una cinquantina di morti, si continua a scendere in piazza nel Paese più popoloso e giovane dell’Africa, prima economia del continente che, come dimostrato dal movimento #EndSARS, non è estraneo alle rivendicazioni sociali internazionali, un attore che l’opinione pubblica occidentale e non solo non può più permettersi di ignorare.

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