Anche se hanno paura, non possono darlo a vedere. Devono rimanere inespressive durante il rituale del “taglio”. Piangere è sintomo di debolezza. Resistere vuol dire condannarsi all’isolamento e la vergogna.
Un quarto delle donne nigeriane tra i 15 e i 49 anni ha subito la mutilazione genitale femminile (Mgf), ovvero la rimozione totale o parziale dei genitali femminili esterni.
Per cercare di porre fine a questa pratica, il 5 maggio la Nigeria, il Paese più popoloso del continente africano, ha dichiarato illegale la mutilazione genitale femminile.
Prima di concludere il suo mandato e cedere il potere a Muhammadu Buhari, l’ex presidente Goodluck Jonathan si è assicurato un posto nella storia per aver passato questo divieto, che fa parte del pacchetto leggi del Violence Against Persons (Prohibition) Act 2015 .
Nonostante alcuni dei 36 stati nigeriani già proibissero il rituale, la nuova legge federale estende il divieto a livello nazionale.
Tra gli effetti nocivi immediati delle Mgf, l’Organizzazione Mondiale della Sanità cita emorragie, infezioni batteriche e ferite aperte. Tra le conseguenze a lungo termine ci sono invece infertilità, complicazioni del parto e infezioni ricorrenti alla vescica.
La speranza è che con la criminalizzazione delle Mgf sarà più facile combattere le pressioni sociali che portano molte donne ad accettare la pratica, vista come un modo per tenere a bada i loro istinti ormonali, riducendo il piacere sessuale e assicurandosi che arrivino caste al matrimonio, ma anche come un rito di iniziazione.
“L’esperienza globale ci insegna che, alla fine, è attraverso il cambiamento di mentalità che porremo veramente fine alle mutilazioni genitali femminili. Non basta passare una legge”, ha detto alla Reuters Tanya Barron dell’ong Plan International, impegnata in prima linea nella tutela dei diritti dell’infanzia, soprattutto delle bambine, in 51 Paesi nel mondo.