I due marò italiani tornati in India non rischiano la condanna a morte. Ma questo non grazie ad un “patto” o un’ ”assicurazione scritta” del governo indiano all’Italia, bensì per semplice applicazione della giurisprudenza indiana sul caso.
Secondo la ricostruzione del blog madeinchina, la pena di morte, analizzati i precedenti nei quali è stata non solo comminata ma anche eseguita, è un rischio assolutamente remoto. Il diritto indiano – prevede che la pena di morte sia applicabile in casi cosiddetti “rarest of the rare”, ovvero casi di estrema rarità e crudeltà.
Dal 1995 ad oggi in India sono state eseguite quattro pene capitali in quattro procedimenti penali che interessavano: uno stupratore di minorenni, un serial killer, un terrorista pakistano e un sospetto terrorista kashmiro.
Il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, la mattina del 22 marzo, davanti alle camere del Parlamento, aveva spiegato che il governo indiano aveva informato quello italiano che i due marò non saranno passibili di arresto se torneranno entro la scadenza fissata dalla Corte suprema indiana (il 22 marzo) e saranno di nuovo vincolati alle condizioni contenute nell’ordine passato dalla Corte suprema il 18 gennaio 2013 (condizioni di quasi libertà).
Inoltre, secondo una prassi consolidata della giurisprudenza indiana, il caso dei marò italiani non rientra nella categoria di procedimenti penali che contemplano la pena di morte, ovvero i casi “rarest of the rare”.
Ma di fronte a notizie provenienti dall’Italia che parlavano di “garanzie date dall’India”, alcune addirittura di “patto”, Khurshid è stato costretto a smentire. Il ministro della Giustizia indiano Ashwani Kumar ha ribadito così in televisione che l’India non ha fatto nessun patto nuovo con l’Italia e che il potere esecutivo non può dare garanzie sulla sentenza di un tribunale.
Ma la notizia è arrivata in Italia come una smentita dell’accordo, “Gli indiani ci avevano assicurato che non avrebbero dato la pena di morte e ora il loro ministro ritratta”.
Fali Sam Nariman, costituzionalista e presidente dell’Ordine degli avvocati indiani, è una voce autorevole nel campo degli arbitrati internazionali. In una intervista al quotidiano ‘Business Standard’ Nariman sostiene che non trattandosi di un assassinio deliberato fatto intenzionalmente ma al più di un increscioso incidente di confusione fra pescatori e pirati, la pena di morte per i marò non è applicabile perché non si tratta di omicidio premeditato.
Quindi “l’assicurazione data dal ministro degli Esteri che la pena di morte non verrà chiesta per i due marinai non è del tutto fuori luogo. Stiamo alimentando – ha concluso – controversie dove non esistono”.
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