Dopo tre mesi di violenze e un bilancio di almeno 280 vittime e 1800 feriti, la comunità internazionale ha chiesto a Daniel Ortega, il presidente del Nicaragua, di fermare la repressione armata.
L’appello è stato firmato dagli Stati Uniti, da tredici paesi dell’America latina e del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. “È assolutamente necessario che cessi immediatamente la violenza e che sia rivitalizzato il dialogo nazionale, perché solo una soluzione politica è accettabile per il Nicaragua”, ha dichiarato il segretario Onu, aggiungendo che il conflitto è “assolutamente sconvolgente”.
Dello stesso parere i paesi latinoamericani che a Bruxelles hanno preso parte all’appello congiunto, sottolineando la necessità di una “cessazione immediata degli atti di violenza, di intimidazione e delle minacce” e dello “smantellamento dei gruppi paramilitari”.
Le prime manifestazioni contro il governo di Ortega, che controlla il paese da decenni, erano iniziate lo scorso 19 aprile. Al centro delle proteste, la contestazione della riforma del sistema previdenziale nazionale, avviata dal Fronte nazionale sandinista per la liberazione, che avrebbe previsto una tassa del 5 per cento sulle pensioni e un aumento dei contributi per lavoratori e datori di lavoro.
Gli scontri, scoppiati nella capitale Managua, erano stati repressi con violenza. Contro gli studenti scesi in piazza, il governo aveva usato lacrimogeni per poi giustificare l’ingente intervento della polizia dichiarando che tra i dimostranti, giudicati manipolati da una minoranza politica, si erano infiltrati gruppi criminali.
Nonostante il governo avesse in seguito deciso di rinunciare ai tagli alle pensioni, le proteste erano proseguite concentrandosi contro Ortega, che ha dichiarato di non volere indire elezioni anticipate, come chiesto dai suoi oppositori, né di presentare le dimissioni insieme a sua moglie, la vicepresidente del paese.
Giovedì 12 luglio, quattro poliziotti e un manifestante sono rimasti uccisi nel corso di un corteo nel sud est del paese durante un attacco definito “paramilitare” dagli attivisti.
Venerdì 13 luglio, due persone sono morte durante un assalto armato di forze paramilitari filogovernative. Gli studenti, che frequentavano l’Università Nazionale Autonoma del Nicaragua (Unan), la principale del paese, si erano rifugiati, insieme a giornalisti e sacerdoti, in una chiesa della capitale per sfuggire alla polizia. Sono stati liberati dal cardinale Leopoldo Brenes, che ha guidato l’evacuazione dei ragazzi dalla struttura in cui erano rimasti asserragliati per quasi venti ore.
Il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Baez, ha accusato il governo di aver attraversato “il limite del disumano e dell’immorale. La repressione di venerdì notte contro civili, per lo più studenti, è condannabile da ogni punto di vista”.
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