Nazioni Unite, approvata la risoluzione contro la pena di morte
Ieri l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione per la moratoria universale della pena di morte con 123 voti a favore, 38 contrari e 24 astensioni. La votazione del documento avviene ogni due anni a partire dal 2007, quando proprio l’Italia fu tra i Paesi dell’Unione Europea che promossero per la prima volta la mozione.
“Grande soddisfazione per la Farnesina! Grazie a chi ha lottato insieme a noi: Sant’Egidio, Amnesty International e Nessuno Tocchi Caino”, ha scritto sul suo profilo Twitter la viceministra degli Esteri Marina Sereni.
Anche se non vincolanti per i Paesi che le votano, la risoluzioni delle Nazioni Unite hanno un importante valore politico: quella sulla moratoria universale contro la pena di morte testimonia quali sono gli Stati che vogliono impegnarsi per abolire le esecuzioni.
Moratoria contro la pena di morte: come hanno votato gli Stati
La votazione di quest’anno ha ottenuto più consensi rispetto a quella votata due anni fa e incassato i sì di Paesi che non avevano mai votato a favore della moratoria prima d’ora: Gibuti, Giordania, Libano e Corea del Sud. Inoltre Filippine, Guinea, Nauru e Repubblica del Congo hanno mutato il voto contrario in favorevole e Yemen e Zimbabwe, che nel 2018 avevano votato contro, si sono astenuti. Cina e Stati Uniti hanno votato contro la moratoria.
Di seguito la tabella del voto sulla risoluzione per la moratoria universale sulla pena di morte adottata ieri nel corso dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (condivisa dalla viceministra degli Esteri Marina Sereni sui suoi canali social dopo la votazione).
Tra i voti contrari, oltre a quello della Cina e degli Stati Uniti, quello della Corea del Nord e della Libia, che ha votato no cambiando la sua posizione rispetto al 2018, quando aveva votato a favore.
Le ultime esecuzioni ordinate da Washington
La risoluzione arriva in un momento caldo per quanto riguarda il dibattito sulla pena di morte negli Stati Uniti, dove a fronte di una progressiva diminuzione del numero di sentenze eseguite negli ultimi 30 anni, nel 2020 10 delle 17 esecuzioni condotte sono state ordinate direttamente dal dipartimento di giustizia di Washington a partire dal mese di luglio, da quando cioè Trump ha riesumato la pena di morte federale dopo 17 anni di moratoria.
Le altre esecuzioni sono state decise dai singoli stati in Arizona, California, Florida, Mississippi, Ohio, Oklahoma e Texas. Negli Usa il numero di esecuzioni a livello dei singoli Stati si è ridotto costantemente dal 2003: secondo i dati raccolti dal Death Penalty Information Center questi hanno compiuto 59 sentenze capitali nel 2004 e 22 nel 2019. Ma preoccupano le sentenze di morte decise direttamente dal governo federale, che negli ultimi mesi ha accelerato le esecuzioni.
In questi giorni circa 40 esponenti del Congresso americano hanno scritto una lettera al presidente eletto Joe Biden e alla sua vice Kamala Harris per chiedere fin dal suo primo giorno alla Casa Bianca l’abolizione della pena di morte federale.
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