Energia, terre rare, rotte commerciali e soprattutto basi missilistiche e arsenali nucleari, col ritorno dello scontro tra Russia e Occidente a scaldare l’Artico non è più solo il cambiamento climatico globale ma la minaccia di una vera e propria sfida tra i ghiacci. Nel 1987, durante un viaggio nella penisola di Kola, Mikhail Gorbaciov, all’epoca segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, propose di trasformare l’Artico in una “zona di pace” a partire dal disarmo graduale della regione, un’iniziativa che con gli anni cadde nel silenzio, come molte delle spinte pacifiste del leader russo.
Ora che Svezia e Finlandia si sono decise ad avviarsi sulla via dell’Alleanza atlantica, nell’Artico di neutrale non è rimasto più nessuno. La Russia potrebbe presto diventare l’unico Paese della regione a non aderire alla Nato. Qualcuno potrebbe anche chiamarlo accerchiamento ma basta guardare la mappa per notare che Mosca con i suoi 24.140 chilometri di costa artica non è affatto accerchiata, anzi tra i ghiacci gioca ancora il ruolo del leone.
Nei decenni a cavallo del crollo dell’Urss l’Artico ha rappresentato una sorta di oasi delle relazioni internazionali dove le tensioni venivano accantonate in favore di una stretta collaborazione su temi ambientali e della ricerca scientifica. Centro nevralgico dei rapporti diplomatici tra i Paesi del polo Nord è stato per anni il Consiglio artico, di cui la Russia detiene attualmente la presidenza temporanea fino al 2023.
L’invasione dell’Ucraina però ha fratturato la delicata pace nella regione, ponendo fine per sempre all’“eccezionalismo artico” che vedeva potenze nemiche cooperare per lo sviluppo locale. Dall’inizio delle ostilità infatti tutti i Paesi del Consiglio hanno interrotto la collaborazione con Mosca e alcuni hanno iniziato appunto a cercare nuove alleanze militari. Immediata la risposta del Cremlino, come ha spiegato Vladimir Putin in un discorso del 18 marzo: se gli Stati che si affacciano a Nord non sono più disponibili a collaborare «nelle circostanze correnti, la Russia deve impegnarsi più attivamente nella cooperazione artica con Paesi e alleanze al di fuori della regione».
Lassù dove la circonferenza dei meridiani si riduce progressivamente, le distanze si accorciano e le grandi potenze si scoprono sempre più vicine e vulnerabili. Dalle basi russe i missili intercontinentali possono raggiungere il suolo americano in pochi minuti e viceversa. L’arrivo di Svezia e Finlandia nella Nato potrebbe minacciare l’equilibrio di forze basato sulla capacità di distruzione reciproca raggiunto durante la Guerra fredda. Anche se la loro presenza nella regione è minima (né Helsinki né Stoccolma hanno coste sui mari artici), i finlandesi potrebbero rappresentare una minaccia concreta alla presenza russa nella zona a causa della loro vicinanza a un’infrastruttura strategica: un’autostrada.
La San Pietroburgo – Murmansk, anche nota come la R21 “Kola”, corre infatti per centinaia di chilometri poco distante dal confine finlandese, connettendo il centro del Paese con la penisola di Kola, e con il porto militare di Murmansk, dove risiede il grosso della flotta artica russa, una parte consistente dell’arsenale nucleare del Paese e soprattutto una serie di sottomarini a lungo raggio con capacità atomiche. L’eventuale ingresso di Helsinki nella Nato pone quindi un serio problema su come mettere in sicurezza il collegamento tra la flotta del Nord e il resto del Paese e, in caso di conflitto, darebbe all’Alleanza la possibilità di isolare l’intera flotta artica russa. Ma se le distanze si accorciano per i missili, si abbreviano anche le rotte commerciali. La Russia intende avviare il suo progetto di tenere la rotta artica (chiamata ufficialmente: Rotta del Mare del Nord) aperta tutto l’anno già a partire dal 2024, in modo da raggiungere almeno 80 milioni di tonnellate di volumi di spedizione lungo questo percorso. In questo settore emerge anche un altro grande competitor nella corsa alla spartizione del Polo: la Cina. Anche se Pechino non è propriamente una potenza artica, non intende stare fuori da una tale rivoluzione delle rotte commerciali, segue da anni i lavori in Russia e ha già siglato accordi per la costruzione di porti commerciali e infrastrutture di carico lungo le coste russe dell’oceano Artico.
L’apertura delle rotte però potrebbe accrescere la tensione nella regione. Attualmente, i Paesi che si affacciano sul Polo ritengono le 200 miglia nautiche di acque affacciate sulle loro coste come Zone economiche esclusive. Le rivendicazioni oltre quel confine marittimo dipendono dai confini della piattaforma continentale, ovvero dove la massa terrestre di uno Stato si estende sott’acqua prima di cadere nelle profondità dell’oceano. Spesso però le rilevazioni si sovrappongono – in particolare tra Canada, Russia e Danimarca – e, con la sospensione del Consiglio Artico, le controversie territoriali potrebbero non essere mai risolte.
Dalla guerra in Ucraina, oltre al conflitto militare è scaturita anche una battaglia sulle forniture energetiche e l’Artico non ne è di certo esente. Sotto le terre del nord infatti giace sia la chiave alla transizione verde che un eventuale rilancio dell’era degli idrocarburi. Secondo la “Strategia per lo sviluppo della zona artica della Federazione Russa”, i volumi previsti per la produzione di petrolio nella regione artica dovrebbero raggiungere il 26 per cento del totale prodotto in Russia, mentre per il gas la cifra raggiunge il 79 per cento con un’espansione di oltre 10 volte del gas naturale liquefatto. Dal lato europeo invece, dove si punta tutto sul superamento della dipendenza dal gas russo, l’inviato speciale per l’Artico dell’Unione europea, Micheal Mann, spiega a TPI: «Grazie ai minerali necessari per la produzione di batterie e altre risorse preziose, l’Artico può dare una spinta incredibile alla transizione energetica». «La zona artica può vedere l’affermarsi di una vera filiera dell’economia dell’energia rinnovabile che dia slancio alla transizione dell’intero continente», ha sottolineato Mann.
Intanto le temperature continuano a salire e non è una metafora. All’inizio di marzo, intorno al Polo Nord il termometro segnava oltre 10 gradi in più della media stagionale. Un fenomeno, spiega Peter Jacobs, scienziato del clima presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, parte di una tendenza allarmante. Negli ultimi 30 anni, secondo Jacobs, la regione si è riscaldata quattro volte più velocemente del resto del globo. Il cambiamento climatico sta trasformando il paesaggio terrestre e marino artico, provocando lo scioglimento del ghiaccio marino, il ritiro dei ghiacci e delle calotte glaciali, il disgelo del permafrost e la distruzione della fauna artica.
Ma proprio quando gli scienziati e i governi degli otto Stati artici dovrebbero collaborare per affrontare la crisi climatica nella regione, il conflitto ucraino ha di fatto sospeso tutte le attività di ricerca comuni, mettendo in pericolo non solo i progressi raggiunti ma anche le semplici attività di monitoraggio. Dagli Usa però rilanciano sulla collaborazione artica senza la Russia: «È fondamentale per noi non perdere di vista l’accelerazione del cambiamento climatico e fare quanti più progressi possibili con o senza Mosca», spiega a TPI Marisol Maddox, analista del Polar Institute del Woodrow Wilson International Center for Scholars di Washington, Dc. Come sarà possibile fare progressi senza un Paese che occupa quasi metà dell’intera regione non è chiaro, è indubbio però che tra corsa al riarmo, guerra energetica e riscaldamento globale nell’Artico si apre una stagione sempre più calda.
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