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    Fronte Nagorno Karabakh: l’altra guerra (dimenticata) d’Europa

    Credit: AP

    Dormono per strada o fuggono a piedi dai propri villaggi. Non hanno cibo. E bruciano i ricordi più cari perché non cadano nelle mani delle truppe azere. Il riaccendersi del conflitto tra Baku e i separatisti armeni ha messo a dura prova i civili, fuggiti a migliaia dal territorio separatista

    Di Chiara Godino
    Pubblicato il 30 Set. 2023 alle 07:00

    «I negozi sono completamente vuoti, non si trova più caffè, frutta e verdura. Ci è rimasta una quantità limitata di pane che viene cotto e venduto solo nelle panetterie, perché non c’è abbastanza carburante per consegnarlo ai negozi. Le persone devono quindi recarsi a piedi e attendere in fila davanti al forno. Le code possono raggiungere le sei ore, molti preferiscono farla di notte, poiché durante giorno il caldo è insopportabile», scriveva qualche settimana fa sul suo profilo Instagram Mary Asatryan, assistente per il difensore dei diritti umani (Ombudsman) del Nagorno Karabakh a Stepanakert. Da mesi documenta la sua vita sul social, dove pubblica foto e video delle code davanti alle panetterie, del viaggio di venti chilometri che fa per andare a prendere bottiglie d’acqua, di come i locali abbiano iniziato ad aiutarsi vicendevolmente e del genocidio in corso.

    Il Nagorno Karabakh, o Artsakh, è un territorio separatista interno all’Azerbaigian e storicamente abitato da armeni. La Repubblica venne proclamata a seguito del collasso dell’Unione Sovietica e ad oggi non è riconosciuta da alcuno Stato al mondo. L’enclave contesa del Caucaso è solitamente collegata all’Armenia – da cui dipende per cibo e medicine – dal corridoio di Lachin, ma dal 12 dicembre 2022, la strada è stata di fatto bloccata dall’Azerbaigian; di conseguenza mancano i prodotti di prima necessità e l’arrivo dei beni alimentari dipende solo dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) e dai peacekeeper russi. Il 19 settembre 2023 il governo azero ha avviato un’operazione militare nel territorio e il giorno dopo le due parti hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco, seppure gli azeri abbiano continuato a violarlo. L’Azerbaigian ha di fatto ottenuto ciò che voleva: il disarmo e il ritiro delle forze militari separatiste e armene.

    Sentenze internazionali    

    Per mesi il governo azero ha indebolito la regione e isolato i suoi abitanti, andando contro il principio internazionale secondo cui «nessuno dovrebbe essere lasciato indietro e nessun diritto umano ignorato». Molte organizzazioni ed esperti internazionali si sono espressi sul deterioramento della situazione, qualificandola come genocidio, pulizia etnica o crimine contro l’umanità. Ad esempio, il Global Center for the Responsibility to Protect ha dichiarato che «la negazione intenzionale e illegale dell’assistenza umanitaria può costituire crimini di guerra e contro l’umanità». Il primo consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio, Juan Mendez, ha sottolineato che i fatti costituiscono una ragione sufficiente per lanciare un allarme preventivo alla comunità internazionale sul rischio che la popolazione del Nagorno Karabakh subisca «gravi danni fisici o mentali», come definito nell’articolo 2 della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del genocidio. L’ex procuratore capo della Corte penale internazionale (il primo della storia), Luis Moreno Ocampo, ha affermato nel suo rapporto che si tratta di un genocidio in corso per fame, facendo riferimento al paragrafo C dell’articolo II della Convenzione sul genocidio: «Infliggere deliberatamente a un gruppo condizioni di vita calcolate in modo da causarne la distruzione fisica totale o parziale». Anche il Segretario generale, gli esperti e i vari organismi dell’Onu, così come il Parlamento europeo, il Consiglio d’Europa, l’Unione europea e decine di Paesi, nonché Amnesty International, Human Rights Watch e altre importanti organizzazioni non governative, hanno ripetutamente invitato l’Azerbaigian ad aprire il corridoio e ad aderire alle sentenze giudiziarie internazionali. 

    La situazione del blocco imposto è stata infine portata all’attenzione della Corte internazionale di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo: entrambe hanno emesso e ribadito ordinanze invitando la Repubblica dell’Azerbaigian ad «adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire la libera circolazione di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni». Tuttavia, nessuna di queste decisioni giuridicamente vincolanti è stata attuata da Baku. Al contrario, il 23 aprile 2023, il Paese ha installato un posto di blocco illegale nel corridoio di Lachin, ostacolando i movimenti delle forniture umanitarie. L’intera popolazione dell’Artsakh si è trovata con riserve scarse e in rapido esaurimento. L’Azerbaigian ha negato di aver isolato la regione e si è difeso dicendo che le restrizioni sono state imposte per evitare il passaggio illegale di armi. Alcuni cittadini del Nagorno Karabakh sono convinti che il piano sia quello di costringere la popolazione ad abbandonare il territorio. Ad oggi, il corridoio di Lachin non è stato ancora riaperto. 

    L’attacco e le reazioni 

    Martedì 19 settembre 2023, l’Azerbaigian ha poi iniziato un’operazione militare nel territorio separatista, bombardando alcune postazioni armene e la capitale Stepanakert, uccidendo così centinaia di persone. Dopo esattamente 24 ore è stato annunciato un cessate il fuoco, considerato di fatto una resa e un’importante vittoria del governo azero che ha ottenuto la smilitarizzazione delle forze separatiste, male armate e poco addestrate. Mentre migliaia di manifestanti che vivono a Yerevan, capitale dell’Armenia, hanno protestato e accusato il governo armeno di non stare facendo nulla per impedire il genocidio, altrettanti abitanti del Nagorno Karabakh, preoccupati di possibili violenze, hanno raggiunto l’aeroporto per fuggire verso l’Armenia. Giovedì 21 settembre le autorità dell’Azerbaigian e quelle del Nagorno Karabakh si sono incontrate per decidere quella che di fatto sarà la completa reintegrazione della regione separatista all’interno dell’Azerbaigian. Secondo molti esperti il ritorno del dominio azero sul Nagorno Karabakh potrebbe trasformarsi in un disastro umanitario: da domenica 24 settembre più di 13mila persone hanno abbandonato la regione e si sono rifugiate in Armenia, dando inizio a un’evacuazione storica che potrebbe portare a un esodo di massa in un Paese poverissimo che non ha i mezzi per accogliere grandi quantità di profughi.

    Durante l’attacco erano presenti sul territorio anche soldati russi, la cui missione era quella di garantire la pace tra armeni e azeri, ma che non sono intervenuti. L’inazione e l’inaffidabilità della Russia è dovuta a due motivi: il primo è che il Cremlino è completamente concentrato sulla guerra in Ucraina e ha distolto la sua attenzione e i suoi mezzi economici e militari dagli altri Paesi ex sovietici, il secondo è che recentemente il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha cercato di stabilire relazioni più solide con l’Europa e gli Stati Uniti, annunciando l’invio di aiuti umanitari in Turchia, affermando che l’Armenia non può affidarsi solo alla Russia per la sua difesa e addirittura organizzando un’esercitazione militare congiunta con gli Usa. Tutto ciò non è evidentemente piaciuto a Putin. L’Armenia infatti non ha alleati potenti mentre l’Azerbaigian si è avvicinato alla Turchia e a Israele, acquistando armi da entrambi. Seppur l’Unione europea, la Germania e la Francia abbiano condannato le azioni dell’esercito azero, l’8 giugno anche l’italiana Leonardo ha raggiunto un accordo con il ministero della Difesa azero per l’acquisto di aerei da trasporto militare, e mentre Baku bombardava Stepanakert, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha definito l’Azerbaigian un «partner importante dell’Italia». Il motivo? Il nostro Paese è il principale cliente europeo dell’Azerbaigian: ci affidiamo a loro per quanto riguarda il gas e da noi arriva la metà di quello che esporta.

    Conseguenze disastrose

    «Il 26 luglio il governo armeno ha inviato 360 tonnellate di aiuti umanitari di emergenza al Nagorno Karabakh. Da allora, 19 camion sono rimasti bloccati all’ingresso del corridoio di Lachin, una situazione ben documentata da numerosi diplomatici stranieri e osservatori dell’UE. Il 30 agosto, diverse città e regioni della Francia hanno consegnato dieci camion di aiuti umanitari al Nagorno Karabakh, che si sono uniti al precedente convoglio umanitario bloccato. L’unica forma di movimento umanitario attraverso il Corridoio è il trasferimento limitato di pazienti» spiega a TPI Artak Beglaryan, ex ministro di Stato ed ex Difensore Civico dell’Artsakh, attualmente esperto indipendente. Prima del blocco, ci racconta Beglaryan, circa il 90 per cento del cibo consumato nella regione veniva importato dall’Armenia e da altri Paesi insieme ad una media di 400 tonnellate di vari beni di prima necessità per soddisfare i bisogni vitali della popolazione, senza considerare le ingenti importazioni a fini di sviluppo economico. 

    Adesso la popolazione dell’Artsakh sta affrontando circostanze terribili a causa della carenza di cibo causata dal blocco, dalle limitate forniture delle riserve governative e dall’operazione militare. Le persone sono state costrette a rifugiarsi negli scantinati da quando sono iniziati i bombardamenti, seppur non ci sia cibo, acqua, elettricità, connessione telefonica né riscaldamento. Con il passare delle ore però, nonostante gli attacchi, c’è chi è uscito dai rifugi per cercare i familiari scomparsi e per acquistare quantità esigue di cibo, appena sufficienti per evitare di morire di fame. Gli scaffali dei negozi sono vuoti da tempo e prima dell’attacco del 19 settembre, il 95 per cento dei residenti dell’Artsakh soffriva di malnutrizione.

    In assenza di elettricità e gas, le persone non possono cucinare in casa, così alcuni hanno iniziato a installare stufe a legna per strada, nei cortili o sui balconi, per cucinare le ultime scorte di cibo e condividerlo con i vicini di casa. Una delle preoccupazioni più pressanti è la grave carenza di pane, aggravata dagli attacchi azeri contro gli agricoltori impegnati nelle attività di raccolta del grano vicino alla linea di contatto che ne hanno ostacolato il completamento del processo di raccolta. «Dal 5 settembre il governo dell’Artsakh ha introdotto un sistema di coupon per il pane e ogni persona ne può acquistare solo 200 grammi al giorno. Il pane che si trova ora non è più quello bianco, ma è fatto da una miscela di cereali diversi, come mais, segale e avena», scriveva Mary Asatryan sul suo profilo Instagram prima dell’attacco azero. «Oggi, quando ho notato diverse code davanti la panetteria sotto casa, sono stata felice di rivedere quelle persone in attesa, perché significava che qualcuno avrebbe mangiato. Vorrei tornare al blocco», ha scritto invece il 23 settembre.

    Moltissime persone stanno facendo le valigie per abbandonare il Nagorno Karabakh e stanno bruciando quello che non possono portare con sé, quello che hanno paura di far uscire dalla regione o quello che semplicemente non vogliono lasciare agli azeri. Lungo le strade vengono strappate le foto dei martiri delle guerre passate, i libri, i vestiti, i ricordi più preziosi. In una parola, la memoria.

    Anche il sistema sanitario versa in uno stato preoccupante. Le persone affette da malattie croniche, tra cui 4.687 pazienti con diabete e 8.450 con malattie circolatorie, rischiano di rimanere senza i farmaci gratuiti forniti dallo Stato. Oltre 1.900 interventi chirurgici ed esami programmati sono stati sospesi a causa della mancanza di forniture mediche. Come conseguenza del continuo stress, della malnutrizione e di varie sfide all’interno del sistema sanitario, i tassi di quasi tutte le complicazioni sanitarie sono aumentati drasticamente. Ad esempio, il livello di anemia tra le donne in gravidanza ha superato il 90 per cento, soprattutto a causa della malnutrizione cronica. Il tasso di mortalità perinatale è raddoppiato, portando alla morte sia dei neonati che dei feti. Infine, il numero di aborti spontanei è quadruplicato e nel primo semestre il tasso di mortalità per malattie del sistema circolatorio è aumentato del 90 per cento, mentre il tasso di mortalità tra le persone affette da cancro è aumentato del 25 per cento.

    Il taglio di luce e gas 

    Artak Beglaryan ci racconta poi che, durante il blocco, l’Azerbaigian ha anche interrotto le forniture di elettricità e gas dall’Armenia, lasciando la popolazione con un volume limitato di produzione locale di elettricità e gas. Questo ha portato a blackout giornalieri e alla chiusura o al ridimensionamento di numerose aziende. La fornitura di gas è stata completamente interrotta dal 21 marzo e l’elettricità è stata tagliata dal 9 gennaio. I residenti devono inoltre affrontare sfide significative quando si tratta di accedere all’acqua potabile a causa della loro dipendenza da pozzi artesiani gestiti da pompe alimentate a combustibile. 

    Tuttavia, quando le forniture di carburante si esauriscono, queste pompe non sono in grado di funzionare alla loro massima capacità, con conseguente insufficiente disponibilità di acqua. Dal 25 luglio, la grave mancanza di carburante ha causato l’interruzione completa dei trasporti interni pubblici e privati, dell’agricoltura e di altre attività economiche. Le forniture di cibo prodotto localmente vengono effettuate con volumi molto limitati a causa della scarsità sia di alimenti che di carburante. La crescente scarsità di questi e altri beni di prima necessità ha avuto un impatto significativo su tutti i settori economici: i livelli di disoccupazione e povertà sono aumentati drasticamente, portando a ulteriori sofferenze soprattutto tra i gruppi vulnerabili. Più del 90 per cento dei dipendenti del settore privato è già disoccupato, mentre il resto ha un reddito piuttosto limitato. 

    L’Armenia ha ribadito la richiesta di inviare una missione delle Nazioni Unite nel territorio separatista, ma la comunità internazionale non è riuscita a offrire soccorso alla popolazione nemmeno negli ultimi nove mesi. Il 5 ottobre prossimo ci sarà un incontro tra il premier armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Alyev che mira a discutere la firma di un trattato di pace. La riunione si terrà nella città spagnola di Granada e vedrà la partecipazione anche dei leader di Francia e Germania, Emmanuel Macron e Olaf Scholz, e della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Nel frattempo, gli oltre 120mila cittadini della Repubblica del Nagorno Karabakh stanno lottando per sopravvivere, con carenze di quasi tutti i beni di prima necessità, dormono per strada o fuggono a piedi dai loro villaggi, presi di mira dalle truppe azere, come si vede in alcuni video apparsi online. La stragrande maggioranza sono sfollati a causa della guerra del 2020. Vivere in Nagorno Karabakh significa pertanto vivere nelle pause tra le guerre.

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