“Non dimenticherò mai quella corsa nei campi divenuti un inferno, cercavo un modo per aprire la portiera dell’auto, il clacson che suonava… Urlavo ai due poliziotti di usare l’unico estintore che tenevano in mano. Ho guardato a terra, c’erano pezzi del corpo di mia madre dappertutto. Ho capito che avevano ragione, non c’era più niente da fare. ‘Chi c’è in macchina?’, mi hanno chiesto. ‘Mia madre’, ho risposto. È morta. È morta per la vostra incompetenza”.
Questo è lo sfogo di Matthew Caruana Galizia, il primogenito di Daphne Caruana Galizia, la più nota giornalista investigativa maltese, morta il 16 ottobre nell’esplosione della sua automobile a Bidnija, nella parte settentrionale dell’isola.
“Mia madre è stata assassinata perché si è trovata in mezzo, come molti altri giornalisti coraggiosi, tra la legge e coloro che cercano di violarla. Ma è stata colpita anche perché era l’unica a farlo. Ecco cosa accade quando le istituzioni dello stato sono incapaci: l’ultima persona che rimane in piedi spesso è un giornalista. E quindi è la prima persona che deve morire”.
Queste parole dure e forti fanno parte del lungo post pubblicato su Facebook da Matthew, anche lui, come la madre, giornalista del Consorzio di giornalismo investigativo che ha scoperto lo scandalo dei Panama Papers.
Le inchieste di Caruana Galizia
Caruana Galizia aveva seguito l’inchiesta internazionale sui MaltaFiles, secondo la quale la piccola isola del Mediterraneo sarebbe diventata un paradiso fiscale all’interno dell’Unione europea.
Nel corso degli anni era diventata una figura di riferimento del giornalismo investigativo maltese: tra i suoi obiettivi l’attuale premier Muscat, finito nell’inchiesta fin da quando era all’opposizione, ma anche l’ex capo dell’opposizione, Simon Busuttil, ex leader del partito nazionalista.
È stata inoltre la prima a diffondere la notizia del coinvolgimento nei Panama Papers di Konrad Mizzi e Keith Schembri, rispettivamente capo staff di Muscat e ministro dell’Energia e della Salute.
Una delle sue inchieste più recenti aveva anche lanciato ombre su Michelle Muscat, moglie del primo ministro, accusata di essere la beneficiaria di una società con sede a Panama che muoveva ingenti quantità di denaro su conti bancari in Azerbaigian.
Caruana Galizia aveva paura, aveva denunciato alla polizia di aver ricevuto minacce di morte quindici giorni prima del tragico evento.
Caruana, spesso zittita dalle autorità, pubblicava le inchieste sul suo blog. L’ultimo aggiornamento l’aveva fatto alle 2.35, pochi minuti prima di saltare in aria a bordo della sua Peugeot 108, a pochi metri da casa sua.
A chiusura del pezzo, aveva lasciato una frase che ora suona quasi profetica: “Ci sono criminali ovunque io guardi ora. La situazione è disperata”.
Le domande
“L’omicidio di uno dei giornalisti più importanti, visibili e coraggiosi di Malta conferma il motivo per cui è essenziale e urgente garantire che le nostre istituzioni possano essere veramente professionali e completamente indipendenti e imparziali nell’esercizio delle loro funzioni. In particolare quando si tratta di proteggere e tuteare i diritti fondamentali delle persone, prima di tutto il diritto alla vita e alla sicurezza, il suo sacro diritto di esprimersi liberamente, un diritto così poco tutelato”.
È questo invece il commento di Louis Galea, membro della Corte dei conti europea dal 2010 al 2016 ed ex ministro per gli Affari Interni e la Sicurezza Nazionale di Malta.
L’ex ministro apre una serie di interessanti interrogativi attraverso l’intervista rilasciata al Malta Times, il quotidiano dove la giornalista aveva iniziato la propria carriera.
• “Daphne era il classico esempio di persona che aveva bisogno di una protezione da parte dello stato: era noto che fosse a rischio. Che cosa hanno fatto le autorità per valutare questo rischio e assicurare tutte le misure di sicurezza necessarie?”
• “Lo Stato di Malta, il suo governo e le sue istituzioni avevano il dovere sacro e costituzionale di salvaguardare la sicurezza e la vita di Daphne e della sua famiglia. Come ha fatto lo stato a svolgere questo dovere?”
“Le autorità erano tenute a prestare tale sicurezza, garantendo al tempo stesso la piena libertà di esercitare la professione nel pieno rispetto della sua libertà di espressione. Permettere che Daphne Caruana Galizia sia stata uccisa in modo così crudele è stato un fallimento dello stato, del suo governo e delle sue istituzioni”.
• Ma è stato solo il fallimento di uno stato o un segnale ben preciso indirizzato ai giornalisti che si occupano di “questioni scottanti”?
Le autobombe sono atti che fanno parte di un codice tipicamente di stampo mafioso. In Italia se ne ricordano moltissime, alcune ancora molto celebri come la strage di via D’Amelio, l’attentato di stampo terroristico-mafioso avvenuto in Italia il 19 luglio 1992, nel quale persero la vita il magistrato italiano Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta proprio per lo scoppio di un’autobomba.
Le ombre sulle indagini
“Poche ore dopo, mentre il primo ministro stava facendo dichiarazioni al Parlamento su una giornalista che per più di dieci anni ha demonizzato e aggredito – scrive ancora il figlio Matthew su Facebook – uno dei sergenti di polizia che dovrebbe investigare sull’omicidio, Ramon Mifsud, ha postato questo su Facebook: ‘Alla fine tutti hanno quello che si meritano, sono contento :)'”.
“Sì, ecco il nostro paese: uno Stato di mafia dove puoi cambiare sesso sulla tua carta di identità, ma puoi anche saltare in aria solo perché eserciti i tuoi diritti basilari. Come ci siamo arrivati?”, si domanda Matthew.
Le indagini sulla morte della giornalista ieri erano state affidate alla giudice Consuelo Scerri Herrera, che però è stata ricusata dai familiari della giornalista, in quanto titolare di diversi processi intentati contro la Galizia per il suo lavoro.
Dopo le proteste dei parenti di Galizia e di alcuni membri della società, la giudice si è astenuta dal continuare l’inchiesta sull’omicidio, dopo aver consegnato un documento di 12 pagine in cui motiva la sua decisione.
Ora le indagini sono state affidate al magistrato Anthony Vella.
Dalle 13 in poi di martedì 17 ottobre ci saranno varie manifestazioni pubbliche davanti ai tribunali e nelle piazze di Malta per ribadire il sostegno al lavoro della giornalista uccisa e per chiedere giustizia. Ma prime forme di protesta erano giunte già ieri dopo che a prendere in mano le indagini sull’omicidio era stata la giudice Consuelo Scerri Herrera.
Il primo ministro di Malta, Joseph Muscat, ha detto che si è trattato di un “barbaro attacco” e che “non riposerò fino a che giustizia non sia stata fatta. Tutti sanno che Caruana Galizia mi ha criticato fortemente sia a livello politico che personale. Ma nessuna rivalità – ha concluso il premier maltese – giustifica una morte del genere”.
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