“Via Morsi” e ancora “Non ti vogliamo” oppure “Hai girato le spalle alla rivoluzione”: sono solo alcuni degli slogan urlati a squarcia gola dai manifestanti a piazza Tahrir.
Trombette che suonano incessantemente e tricolori egiziani ovunque. Elicotteri militari che volano bassi sopra Tahrir sono salutati, a mò di festa, dalla gente che esulta, alza le braccia al cielo, suona tamburi e sventola bandiere. Un gruppo di donne egiziane, che manifesta sotto il palco principale, è circondato da un cordone di uomini: un modo per proteggerle dalla folla e dalle molestie sessuali, una piaga della società egiziana.
A Tahrir c’è di tutto: egiziani, musulmani e copti, benestanti e poveri, adolescenti, famiglie, mamme con neonati, anziani. Ma, a un prima occhiata, la classe medio bassa – popolare – è predominante; molti vengono dai quartieri poveri del centro; altri dai villaggi fuori il Cairo. L’atmosfera è sicuramente festosa, l’energia è tangibile e sfocia, a volte, in un entusiasmo esasperato.
Questa è l’atmosfera che si respira all’indomani delle imponenti manifestazioni per rivendicare le dimissioni del presidente egiziano Mohamed Morsi: un effetto domino partito dalle piazze di tutto il paese ha investito i vertici del potere. Una accelerazione improvvisa, probabilmente aiutata dalle dichiarazioni del presidente Usa Barack Obama, ha fatto scendere in campo nuovamente le forze armate, che hanno lanciato un ultimatum di 48 ore alla Fratellanza. Ultimatum che scadrà domani pomeriggio.
Due sorelle manifestano da sole e non nascondono le difficoltà familiari che hanno attirato a sé prendendo parte alle manifestazioni: “Il Presidente ha saputo dividere anche la nostra famiglia, non solo il Paese: mio fratello è pro- Morsi, noi no. Io e mia sorella vogliamo mandare via i Fratelli Musulmani dal potere. Per fortuna i nostri mariti sono d’accordo anche se non so qui, oggi, perché lavorano. La nostra famiglia, invece – sia mio padre che mia madre – è furiosa. Ho paura che quando li rivedremo scatterà l’ennesima discussione.”
È un fiume in piena:“ Mio fratello ieri mi ha urlato contro ‘sei un infedele’, perché ero venuta a Tahrir. Ma noi non molliamo!” afferma, con un tono fermo di voce, la ragazza. La sorella, un po’ in disparte e impaurita dalla macchina fotografica aggiunge timidamente: “I diritti delle donne sono peggiorati, sono preoccupata per il futuro di mia figlia. Non voglio che si realizzi il progetto islamico voluto dai Fratelli Musulmani.”
Poi si interrompe, c’è molta gente intorno. Ma prima di andarsene aggiunge “Ho paura: i sostenitori dei Fratelli sono violenti. Gamaa Islamiya è un gruppo islamista estremista. Sono ex terroristi. Come possiamo essere certi che non si rifaranno su di noi?” La sua voce si fa tremante, ma la sorella maggiore la tranquillizza con un sorriso affettuoso e le fa coraggio. Alla manifestazioni ci sono una miriade di donne: accompagnate, sole, con il velo e senza.
Una che indossa il niqab – il velo integrale -, dice “questa è la piazza di tutti: musulmani, copti, velati e non. La gente non ci deve giudicare per i vestiti, deve parlare con noi e conoscerci”. La ragazza, velata, parla un perfetto inglese e viene da un buon quartiere del Cairo. Il fratello che l’accompagna, aggiunge, anche lui in un impeccabile inglese: “Alle ultime presidenziali abbiamo votato per Sabbahi; ora però vogliamo un nuovo sangue al potere, una nuova generazione di leader: vogliamo i giovani della Rivoluzione.”
Tanti scherzano e si prendono gioco del Presidente. Un giovane, di quindici anni, ride :“Ho comprato questo peluche a forma di pecora, guardalo bene, non è identico a Morsi?” esclama sorridendo. Poi prosegue : “Il ragazzo che li vende ha fatto un affare: li ha finiti tutti nel giro di poche ore. Sarà diventato ricco”. Non mancano, però, scritte che incitano alla violenza e slogan o disegni anti- America. Poco lontano si vede un cartellone con il volto di Morsi e vicino un cappio: ‘Vattene o fari una brutta fine’ recita la scritta.
Dal 30 giugno nella Piazza della Liberazione c’è un sit in permanente. “Rimarremo qui finché non se ne andrà” afferma un attivista dei Rebel, la campagna che ha organizzato la raccolta firme nel Paese e che ha dichiarato di aver raggiunto oltre 22 milioni di partecipanti. Molti attivisti dormono accampati sotto le tende: “È la stessa atmosfera di due anni fa. È incredibile. Il mio popolo è grande” dice uno di loro che, incredulo, cammina sotto il palco principale.
Molti cittadini arrivano già nelle prime ore della mattina. Altri nel pomeriggio, non appena finiti gli orari di ufficio. E quando – soprattutto – fa meno caldo. Ieri sera la pizza, e le vie limitrofe, erano un tappeto umano di gente. “Ma non vi rendete conto? C’è molta più gente che manifesta oggi contro Morsi di quella che manifestava due anni fa contro Mubarak. E guarda che fine ha fatto l’ex Rais, ora tocca all’uomo barbuto” esclama un giovane attivista che, dopo aver urlato la frase, salta con estrema agilità su un palo della luce e si arrampica fino a raggiungere la sommità.
Poi si alza in piedi e sventola la bandiera egiziana. Poi ancora. Una famiglia, tre donne e un uomo, racconta che ha viaggiato due ora per venire qui: “Rimarremo al Cairo. Abbiamo parenti che ci ospitano.” Il capofamiglia poi spiega: “Facciamo tutti i giorni file chilometriche per rifornirci di benzina; a casa per due-tre ore ogni giorno (se va bene) manca la luce e il costo dei beni di prima necessità è aumentato, che dobbiamo fare? Fra i Fratelli nessuno capisce nulla di economia, ci stanno trascinando nel baratro” esclama l’uomo.
È evidente la fibrillazione e l’entusiasmo. Ma non manca il nervosismo: “te ne devi andare via da qui” ci urla contro un’egiziana, di mezza età, seguita dal figlio. Che poi prosegue: “sei straniera. L’America finanzia il terrorismo. Sono i vostri Paesi che appoggiano la Fratellanza, vergognati.” Poi alzando le braccia e con una voce sempre più imponente sbraita : “Vattene, non sei gradita”. Il figlio cerca di intervenire, spiegando alla madre che la presenza dei giornalisti stranieri in piazza è una cosa positiva ma la reazione della donna è ancora più violenta: “Non parliamo con gli stranieri. Siete sostenitori di Morsi. Siete il vero motivo della nostra sofferenza” urla mentre si allontana.
Più in là, un gruppo di uomini egiziani che ascoltava la conversazione vuole prenderne parte. E alzando il tono di voce si avvicina uno di loro: “Morsi è il Presidente del suo gruppo, la Fratellanza. Non di tutti gli egiziani. Non ci sentiamo rappresentanti da lui, deve andarsene o lo manderemo via noi. Questo quello che noi tutti chiediamo” tuona l’uomo, senza mezzi termini.