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    Mitrovica è spaccata in due

    La parte nord della città è rivendicata dai serbi. Quella a sud appartiene quasi completamente agli albanesi

    Di Daniela Lombardi
    Pubblicato il 8 Giu. 2014 alle 00:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:53

    In Europa esiste ancora un muro. Più che un muro in senso classico, è un cumulo di macerie, sabbia e pietre che “spacca in due” la città di Mitrovica, nel nord del Kosovo.

    Il ponte di Austerlitz, sul fiume Ibar, è impossibile da attraversare a causa di quel deposito di materiale che rappresenta una presa di posizione, una sfida, un chiaro messaggio.

    Il messaggio è il seguente: “La parte nord della città è Serbia a tutti gli effetti”.

    Dall’altro lato del fiume, l’avvertimento che si vuole lanciare è uguale e opposto: “La parte sud, come quella settentrionale, appartiene agli albanesi, fa pienamente parte del Kosovo e chiunque deve riconoscere questo dato di fatto”.

    LE IMMAGINI

    Una storia complessa, quella di Mitrovica, che ne fa l’emblema delle enormi contraddizioni del Paese balcanico, lacerato tra le istanze degli indipendentisti albanesi, avallate da parte della comunità internazionale e la volontà di Belgrado di non abbandonare i tanti serbi rimasti a vivere non solo a Mitrovica, ma nelle diverse enclave sparse su tutto il territorio.

    Mitrovica è spezzata in due da tempo. Tensioni e conflitti, esistenti da prima della guerra del ’99, si sono trasformati in una diffidenza insanabile che porta la parte nord a essere abitata quasi esclusivamente da serbi. Questi ultimi si sentono così più vicini alla madrepatria e da questa maggiormente protetti. La parte a sud continua a essere abitata quasi completamente da albanesi. Il “quasi” riguarda qualche piccola comunità albanese che vive a nord e qualche altra, serba, che vive a sud.

    Queste minoranze hanno a volte difficoltà a muoversi nel loro stesso quartiere, temendo ritorsioni della parte avversa. Il transito da una parte all’altra del ponte richiede il presidio ventiquattr’ore su ventiquattro della MSU (Multinational Specialized Unit), l’unità dell’Arma dei Carabinieri italiani che, nell’alveo della missione della Nato Kfor (Kosovo Force), monitora il territorio per evitare sul nascere scontri e tensioni.

    “La situazione è relativamente calma, ma può degenerare da un momento all’altro. Ci sono però diversi segnali positivi. Ci aspettavamo scontri quando, nel centro culturale a ridosso del Fiume Ibar, nella zona sud, si è tenuta la cerimonia di commemorazione dei guerriglieri dell’Uck (l“esercito di liberazione del Kosovo) morti in battaglia. Fortunatamente, tutto si è svolto nel perfetto ordine”, registra il capitano Francesco Sclafani dell’MSU.

    Intanto, le forze della Nato stanno gradualmente cedendo il controllo del territorio alla Kosovo Police (KP), che ha preso in mano la situazione. A Mitrovica è la KP, ormai, il “first responder” (primo risponditore) in caso di scontri, disordini, commissione di reati. Due poliziotti, uno serbo e l’altro albanese, presidiano il ponte. Il poliziotto serbo indossa l’uniforme della polizia locale, con tanto di stemma del Kosovo. Impossibile non chiedersi come possa essere visto dalla comunità serba.

    “Non ci sono problemi con la mia gente. Nessuno mi ha mai detto nulla a riguardo”, assicura l’agente. Tutto tranquillo, dunque? Non ne è convinta Francesca, interprete di origine italiana che da sempre ha vissuto nella parte settentrionale della città. “Ora tutto si sta normalizzando, ma un serbo che entra nella polizia kosovara viene ancora da tanti ritenuto un collaborazionista”.

    Ma non è solo sul ponte di Austerlitz che i Carabinieri italiani devono mantenere alta la guardia. Un’altra postazione fissa dell’unità dei Carabinieri italiani in Kosovo si trova su un secondo ponte che consente l’attraversamento del fiume Ibar, il ponte di Cambronne.

    Qui le macchine riescono a transitare, ma solo quando i loro proprietari eliminano la targa dalle vetture immatricolate in Kosovo e dirette a nord o in Serbia, altrimenti le auto non verrebbero riconosciute al confine. La targa del Kosovo, inteso come Paese indipendente e non come mera provincia serba, non ha alcun valore nella parte settentrionale della città. Qualcuno, che sa come fare, paga il “noleggio” di una targa finta per il periodo in cui deve recarsi “fuori”.

    Davanti a questi problemi pratici, gli accordi di Bruxelles tra Belgrado e Pristina, la capitale del Kosovo, che tra i punti fondamentali elencano anche quelli relativi alla soluzione del problema del transito delle vetture e della doppia assicurazione che dovrebbe pagare chi ha una targa considerata “non valida”, sembrano carta straccia. Troppe questioni sono ancora irrisolte.

    Da sciogliere resta ancora il nodo della giustizia, con particolare riferimento al Tribunale di Mitrovica. Belgrado chiede che la sede del palazzo, che si trova nella parte nord, resti dov’è. Pristina ritiene invece che il Tribunale debba avere la sua sede principale nell’area albanese, con distaccamenti nelle municipalità del nord.

    Sulla base dell’accordo Belgrado-Pristina, l’importante è che il Tribunale rispecchi la composizione etnica del luogo in cui opera. Nel frattempo, mentre si tenta di risolvere sulla carta la questione, il Tribunale non funziona. Chi commette un reato sa che per lungo tempo non sarà giudicato.

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